materiali sulle arti a genova, 1960-2018





ARTE POVERA ALLA BERTESCA

di Sandro Ricaldone

 

È nel contesto della scossa provocata dalla prima mostra di Arte Pop, se possibile ancor maggiore di quello cui aveva dato luogo poco prima la démarche astratto-concreta perseguita dal Deposito e dalla Polena, che a Genova - con un’accelerazione improvvisa – si produce l’esordio dell’Arte Povera. Senza con ciò sminuire l’importanza del radicamento e della maturazione in altri contesti (torinese soprattutto e romano) degli artisti coinvolti o mettere in discussione la specificità di taluni precedenti che la storiografia recente tende a rimarcare, non si può far a meno di riconoscere come la mostra Arte povera – Im Spazio presentata da Celant alla Galleria La Bertesca nel settembre 1967 abbia l’effettiva portata di un momento inaugurale.
Non solo per via del titolo, divenuto in seguito segno distintivo del gruppo, ma per la presa di partito in favore di un’arte d’“anti-finzione”, di “pura presenza”, che sottolinea “il dato di fatto, la presenza fisica di un oggetto, il comportamento di un soggetto”.
E per la scriminante che pone rispetto agli svolgimenti che si riportano all’immagine, siano essi frutto di “ricerche programmate” od appartengano all’area delle Strutture primarie od ancora alle varianti ambientali di matrice pop.
L’alternativa fra “arte povera” e ”im-spazio” (spazio dell’immagine) è solo apparente: nei fatti la scelta di Celant in favore del primo termine è dichiarata. Ed è palese la sua volontà di superare, d’acchito, le due tendenze che dominavano il panorama italiano: l’arte programmata, che in prima battuta aveva seguito, sulla traccia di Dorfles e Apollonio, e la cosiddetta Pop romana, tentando – correlativamente – di aprire nel panorama internazionale una breccia fra il “puritanesimo” minimalista e l’“omogeneizzazione” pop.
Di più, l’avvio recente, che poneva La Bertesca nella condizione di stabilire ex novo i propri indirizzi, in linea con le propensioni innovative dei giovani Francesco Masnata e Nicola Trentalance (che all’epoca ne guidavano insieme l’attività), ed i collegamenti istituiti con altri galleristi emergenti, primo fra tutti Gian Enzo Sperone, così come il terreno neutro ma non eccessivamente periferico rappresentato dalla città e la presenza in loco di artisti attivi in direzioni analoghe davano luogo ad una concatenazione di elementi che ha giocato un ruolo più rilevante di quanto a prima vista non appaia.
La mostra, allestita negli spazi occupati dalla Galleria al numero 13 rosso di Via SS. Giacomo e Filippo, riuniva nella sezione dedicata all’”Arte povera” lavori oggi celebrati di Alighiero Boetti (Catasta, 1967 – sedici tubi eternit a sezione quadrangolare sovrapposti a formare un parallelepipedo), di Luciano Fabro (Pavimento, 1967 – un assemblaggio di riquadri di linoleum coperto da fogli di giornale disposti a rettangolo); di Jannis Kounellis (Senza titolo, 1967 – contenitore in metallo riempito di carbone); di Giulio Paolini (Lo spazio, 1967 – otto caratteri sagomati in compensato verniciati di bianco componenti le parole “lo spazio” applicati ai muri di una stanza all’altezza dell’asse ottico); di Pino Pascali (1 metro cubo di terra; 2 metri cubi di terra – strutture in legno rivestite di terra); di Emilio Prini (Perimetro di spazio, 1967 – tubi al neon disposti ai quattro angoli di una stanza ed un rocchetto al centro, collegati ad un timer).
Nella sezione “Im Spazio” – non separata, nell’allestimento, dalla precedente – figuravano lavori di Umberto Bignardi (proiezione di diapositive su un cilindro); Mario Ceroli (Parcheggio, 1967 – sagome in legno di cinquecento); Paolo Icaro (Gabbia, 1967 – in metallo dipinta in rosso), Renato Mambor, Eliseo Mattiacci con uno tubo snodabile che invadeva le scale, Cesare Tacchi con una poltrona allargabile in similpelle rossa.
Mentre a Torino Daniela Palazzoli coinvolgeva gli stessi artisti, integrandone la rosa con i nomi di Anselmo, Merz, Mondino, Piacentino, Pistoletto, Nespolo, Scheggi e Simonetti), in Con temp l’azione , richiamando l’attenzione sull’affermarsi “di un’altra dialettica, fra azione e comunicazione, … originalità e intelleggibilità”, Celant - dopo aver steso una sorta di manifesto (Arte povera. Appunti per una guerriglia) pubblicato su Flash Art - allestisce in dicembre presso l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università Collage 1 e qualche mese dopo, il 20 aprile 1968, organizza presso la Carabaga una conferenza in cui, in puro stile situazionista, è un registratore a diffondere le dichiarazioni del critico e degli artisti.
Altre mostre s’intrecciano in questo scorcio di tempo: ancora la Bertesca che nel dicembre 1966 aveva esposto Pistoletto con quadri specchianti ed oggetti in meno, presenta nello stesso mese dell’anno successivo Alighiero Boetti con una serie di opere in eternit o cemento e la collettiva Situazione Sessantasette imperniata sugli artisti di Arte povera – Im Spazio cui fa seguito nel giugno 1968 la prima personale di Emilio Prini.
“Nei locali della galleria – annota Friedemann Malsch in una ricostruzione retrospettiva - (Prini) collocò su una fotografia che rappresentava il pianerottolo di una scala prefabbricata una lastra di piombo il cui peso corrispondeva a quello dei suoi elementi in cemento e la cui forma era una replica geometrica del pianerottolo stesso. Lungo la scala dispose in vari punti dei fogli su cui aveva annotato diverse azioni possibili. Queste azioni, che non esistevano se non nell’immaginazione erano completate da lastre di piombo dello stesso peso del braccio di Prini che vi aveva inciso, in maniera molto concreta, dei messaggi. Nel corridoio, due altri oggetti riprendevano il tema della gravità. A terra si trovava un elemento in piombo corrispondente al peso di un giovane. La sua forma somiglia da lontano ad un corpo umano senza avere tuttavia rapporto con l’ordine delle cose. L’oggetto che seguiva era composto di pesi di piombo poggiati su una pila di dodici fotografie di grande formato. Il piombo rappresentava il peso di Prini stesso e funzionava come fermacarte per le fotografie. Le foto rappresentano persone e animali in moto … simbolizzano l’effetto della gravità sul corpo. Il piombo rappresenta il peso che resta al suolo mentre l’autore, Prini, prende il volo. (…) Nella prima stanza il visitatore si ritrovava al centro di un’installazione che ne occupava interamente lo spazio. Scopriva ai quattro angoli e al centro delle lastre di piombo appilate sulle quali era scritto un testo che non poteva leggere se non muovendosi da una pila all’altra”.
In seguito all’ingresso dell’Arte povera nel circuito delle mostre internazionali le presenze degli artisti del gruppo si diradano, così che la collettiva Arte Povera 1967/69, allestita nuovamente dalla Bertesca nel giugno 1969 sembra concludere la stagione genovese del “sogno mondiale” di una “quarta arte”, i cui stimoli risulteranno comunque vitali per altre esperienze che in quel tempo si andavano avviando attorno alla galleria ed in particolare per gli esordi di Claudio Costa.

Immagine: Giulio Paolini, Lo spazio, 1965

 

 

2004