materiali sulle arti a genova, 1960-2018





APRILE 1973, UN COLLOQUIO CON HILLA BECHER
di Edga


Quando ha avuto inizio la vostra attività?

Mio marito, quando era studente all'Accademia d'arte di Stoccarda, è venuto in Italia per un viaggio culturale ed è stato interessato da alcune architetture italiane che ha cominciato a dipingere (stazioni ferroviarie, fabbriche industriali, ecc. ecc.). Faceva disegni molto dettagliati e anche qualche litografia. In quel periodo - si era nel 1956 1957 - era un appassionato di De Chirico Tornato in Germania, ha poi frequentato l'Accademia di Düsseldorf e là si è poi stabilito. A quel tempo risale l'incontro con me, già fotografa di professione. Il nostro lavoro non è cominciato subito e la nostra conoscenza non è stata che un'occasione per realizzare il proposito di utilizzare la fotografia per rappresentare un'immagine reale, tale e quale, delle cose. Mio marito, infatti, non era soddisfatto della pittura come mezzo perché non eliminava il fatto soggettivo, l'intervento, la mediazione personale; l'esattezza dell'oggetto non era mai resa e a lui interessava di più l'oggetto in sé che il disegnare. Era un disegnatore veloce e ansioso e temeva sempre, col suo operare, di distruggere il suo oggetto, quello che aveva scelto per come era e che voleva fosse così conservato.

Quali finalità si propone il vostro operare?

Per prima cosa ci interessa il fatto che oggetti molto grandi diventino forme che sono a metà fra l'architettura e la natura. Ciò al di là delle frontiere artistiche. In secondo luogo, si può definire il nostro lavoro come l'estetica della funzionalità e questo concetto va inteso in rapporto con l'economia, con la vita della società, eccetera. Noi fotografiamo queste architetture industriali per la loro funzione e si possono, in questo senso, distinguere gli oggetti in due tipi: gli oggetti in cui il movimento costituisce la dominante - e allora essi verranno fotografati in più posizioni per rappresentare appunto questa idea di movimento e gli oggetti in cui è dominante l'idea della staticità, che richiedono una sola fotografia.

Questo lavoro vuole essere una celebrazione della società moderna?

Non vuole essere un giudizio di valore, vuole essere solo un'occasione per vedere, per mostrare cose che esistono. Certo, questa società ha anche altri aspetti, si manifesta in forme infinite. Noi, per ora, abbiamo scelto questa. Il nostro proposito dominante, fondamentale, è rappresentare cosa c'è ora; poi le cose cambieranno. Noi vediamo nelle cose un'evoluzione lenta. Per noi, in questi ultimi dieci anni non c'è stato un grande salto; l'uomo è andato sulla Luna perché prima aveva fatto altro. Noi vogliamo vedere i risultati di un'evoluzione raccogliendo e scegliendo determinati oggetti che costituiscono i due aspetti del tempo e della possibilità del tempo. Il problema più grande è quello della forma e della variabilità della forma.

Come valutate il giudizio estetico sulla vostra opera?

Non è un errore valutarla dal punto di vista estetico, ma non è questa la nostra preoccupazione. È evidente e naturale che in noi, inconsapevolmente, esiste un canale di comunicazione a livello estetico, ma ci interessa di più la scienza. Riteniamo che considerare separatamente arte e scienza sia considerarle malate. lo ho insegnato Analisi della scienza all'Accademia d'arte di Amburgo e questo problema mi interessa molto sotto l'aspetto delle ipotesi e delle teorie. Ora noi fotografiamo i risultati della scienza che hanno una loro precisa funzionalità. Lei dice che il nostro può anche essere considerato un metodo induttivo, cioè scientifico, per estrarre Ia vera forma dell'oggetto, e ciò mi trova d'accordo. lnfatti, quando ci fanno osservare che siamo i primi a operare così come stiamo facendo noi, rispondiamo che ciò è stato fatto da sempre da tutti gli studiosi.

Quale si può quindi definire il motivo della scelta?

La nostra scelta viene fatta non per la bontà, la bellezza o la bruttezza dell'oggetto, ma per la sua capacità di rappresentare bene ciò a cui serve. Vi è poi una seconda scelta, che viene fatta per mettere insieme una serie di oggetti che hanno Ia stessa funzione. Anzitutto le dimensioni delle serie variano a seconda della collocazione che si prevede di dare loro: un museo, una piccola galleria o una casa... Fondamentalmente il principio delia scelta si basa su due elementi: la similarità degli oggetti tra loro o la loro variabiIità. La scelta viene fatta in modo da rendere possibile Ia visualizzazione semplice di un fenomeno materiale e problema diventano forma. La serie interviene poi per far vedere le qualità della funzionalità. L’esempio più chiaro per capire il concetto di base del nostro lavoro, un esempio molto bello, è la macchina per macinare il cacao.

Quella di Duchamp?

Appunto, poiché la funzione e la forma erano identiche e la funzionalità non è più da capire perché è diventata forma.

Quale reazione immaginate nello spettatore che osserva le vostre opere?

Nessuna. Egli è completamente libero di accettarle o no. Nelle opere non ci sono indicazioni al di là di quelle che contengono in sé.

C’è una ragione precisa nella collocazione delle fotografie minori?

Sì, ma non sono mai una "composizione”. Sono nove perché sono più facili da raffrontare, a tre per tre in qualsiasi ordine lo si voglia fare: verticale, orizzontale, diagonale, ecc. ecc. L'ingrandimento singolo di una di esse ha lo scopo di rappresentare meglio i particolari e la scelta avviene in questo senso, ma può anche essere casuale. Comunque, l'ingrandimento serve per far conoscere le qualità del gruppo, come in zoologia si elencano le caratteristiche di una specie o di una famiglia.

Avete pensato ad altri oggetti, oltre che alle costruzioni industriali?

Fino a ora abbiamo fotografato costruzioni industriali e qualche vecchia casa tedesca in cui, all’esterno, compare il disegno della struttura portante, costituita da grandi tronchi. Il disegno varia a seconda della diversa collocazione dei tronchi, che è determinata dalla funzione che dovranno avere gli ambienti della casa: una stalla, un granaio, una stanza... Un altro possibile oggetto del nostro lavoro, e che ci piacerebbe molto realizzare, potrebbero essere certi antichi paesi medioevali italiani. Mi riferisco a quelli costruiti in cima alle colline e che avevano effettivamente, nella loro organizzazione complessiva, una funzione di rifugio, di difesa.

A Kassel, in Documenta 5, la vostra opera era collocata nel gruppo definito delle "idee luce". È d’accordo con questa collocazione?

0uesto era il concetto dei curatori. A noi l’incasellamento non piace, come del resto a nessun altro artista di questo momento. Ma l'arte oggi - o la non-arte - si presenta sotto tanti aspetti che è comprensibile che gli altri abbiano bisogno di collocarci per riuscire ad avere dei punti di riferimento.

Non vi piace, dunque, essere definiti artisti concettuali.

Non lo siamo, come non lo sono gli altri che pure sono considerati protagonisti. Riconosco, però, come lei dice, che il nostro intento è quello di ottenere una visualizzazione diretta di un concetto.

 

 

Edga, L'obiettivo come assenza di mediazione, "Il Corriere Mercantile", 25 maggio 1973