materiali sulle arti a genova, 1960-2018





1973: MACROSCOPIA DEL SEGNO PRECARIO
di Plinio Mesciulam


perché di un’operazione

Esiste un insieme di segni tracciati dalla mano dell'uomo che chiamo segni precari. Questa classe di segni si definisce attraverso caratteristiche e limiti precisi. Trovo segni precari, per cominciare a fornire alcuni tra i tanti esempi possibili, nei conti della spesa, delle massaie e dei negozianti, nei documenti burocratici dove si manifesta l'intervento scritto rapido e immediato dell'impiegato o del funzionario, nelle annotazioni di taccuini, agende e rubriche, nei saluti delle cartoline, in ricette mediche, correzioni di compiti scolastici, promemoria, avvertimenti scritti e in tante altre spicciole informazioni e comunicazioni che ognuno rivolge a se stesso o ad un'altra singola persona. ln gran parte questi segni sono linguistici, ma possono consistere anche in cancellature, sottolineature, freccette, trattini, cerchietti, crocette indicative ecc. Sono sempre veicoli di comunicazioni intenzionali a funzione pratica preminente, ma si tratta di atti manuali ai quali non si dà importanza in quanto operazione grafica, nei vari aspetti privati o professionali in cui si manifestano. Siamo fuori della calligrafia, della solennità, dell'autoremunerazione come dell'esibizione della propria dignità sociale. Il produttore del segno precario NON DA' IMPORTANZA AL SEGNO (IN SE STESSO) CHE EMETTE, ma soltanto al messaggio pratico di cui esso è veicolo e nello stesso modo si comporta il ricevente. Direi meglio che l'emettitore NON SI PREOCCUPA d'altro che di questo messaggio pratico: non vuol comunicare altro. È escluso così ogni «compiacimento», sia da parte dell'emettitore che da parte del ricevitore. Il segno precario non è autoriflettente. È il segno meno presuntuoso in senso estetico che esista, nella tacita, ed universalmente ammessa, rinuncia a quel carattere di ufficialità quando questa si presenta negli aspetti più estremi di paludamento sussiegoso (ma non del tutto al carattere «pubblico», che, anzi, a volte, può assumere, come nell'indicazione manuale di avvenuta, o non avvenuta, promozione in una pagella scolastica). Privato, «pubblico» o professionale che sia, il segno precario ha la sicurezza dell'automatismo e la tranquillità di chi è certo di comunicare L'informazione giusta. Chi lo produce impiega un tempo brevissimo tra decisione ed inizio dell'esecuzione e l'esecuzione, a sua volta, è rapidissima. Richiede, e per me si tratta di uno degli aspetti più caratterizzanti, un tempo minimo di attenzione su di esso, in quanto segno, sia da parte dell'emittente che del ricevente. Dirò meglio che IL SEGNO PRECARIO TRATTIENE IL MENO POSSIBILE L'ATTENZIONE SU SE STESSO UNA VOLTA AVVENUTO IL MESSAGGIO. Esplicandosi quindi in uno spazio minimo di attenzione, il segno precario non è, di per se stesso, scioccante, non tradisce il sistema di attese, non volendo presentarsi come «raro» e farsi notare al di fuori di un contesto istituzionale di segni. Non è stabile né simmetrico, ma è dinamico e labile. È manuale ma si muove, in fondo, in un quadro di svalutazione della manualità. Una bella firma e la «bella scrittura» dei nostri nonni non sono segni precari. Le generazioni che ci hanno preceduti, viventi in una civiltà meno meccanizzata, e consumistica, della nostra, avvertivano di più l'importanza e il prestigio dell'operazione manuale, e sentivano il bisogno di comunicare, attraverso i segni manuali, come la scrittura, non soltanto il messaggio che è il fine primario del segno, ma anche la propria educazione, cultura, rispettabilità ecc. Stabiliti quindi il carattere dimesso e l'indifferenza verso il prestigio individuale e sociale che distinguono il segno precario, si noterà che, per queste ed altre ragioni, esso non può assurgere a carattere emblematico o simbolico, come invece può avvenire per i! segnale stradale (meccanico) o per le scritte sui muri e sulle latrine (manuali), queste ultime, soprattutto, capaci di trattenere maggiormente l'attenzione con funzione emotiva. Altro carattere distintivo del segno precario è quello di avere dimensione ottica minimale. È tracciato da un individuo per comunicare rapidamente a se stesso o ad un altro singolo individuo, mai contemporaneamente a più individui, per cui, ovviamente, vengono esclusi da questa classe le scritte più macroscopiche degli Insegnanti sulla lavagna o sulla tavola magnetica.
In questa pubblicazione, ho presentato, nelle tavole in colore, una serie di documenti contenenti segni precari. Sinora mi sono preoccupato di definire le caratteristiche e i limiti della classe dei segni precari, ma è chiaro che questi documenti mi interessano ben altrimenti rispetto alla definizione che ne ho dato, anzi, con L'intervento «estraniante» ho voluto dare al segno precario quanto non gli è assolutamente concesso dalla definizione stessa. Questo segno che è delimitato dall'INTENZIONE PRATICA dell'emettitore e del ricevitore del segno stesso, mi affascina proprio per un qualcosa che va oltre e in un campo del tutto diverso dal motivo pratico per cui è stato tracciato. Per spiegarmi meglio dirò che la mia attenzione è MAGGIORE e DIVERSA da quella che era nell'intenzione di chi ha emesso il messaggio. Le macroscopie, in bianco e nero, ingrandimenti di particolari di ogni documento e che lo seguono rispettivamente, hanno come significato precipuo questa DILATAZIONE DELLO SPAZIO ATTENZIONALE. Su tutti gli altri significati che attribuirei sia alle scelte dei documenti che alle scelte e ai tagli delle macroscopie, potrei dire qualcosa, ma soprattutto vorrei che fossero TROVATI dal lettore, al di là dei miei stessi gusti e intenzioni. In questa, intanto, come in altre operazioni del genere che penso vengano compiute, potrà rendersi conto di quanto di inimmaginabile possa scoprirsi nell'insignificante: basta spostare il punto di vista, aumentare il tempo dello sguardo, mettendo a contatto quello che è già in noi con quello che ci sta davanti. Quasi sono stato per vergognarmi di non aver potuto lare a meno di recuperare, soprattutto nelle macroscopie, certi valori della nostra cultura artistica elitaria, non potendomi nascondere di aver vestito da principessa la Cenerentola dei segni, correndo il rischio di tradire, così, forse, fino in fondo, Cenerentola. Accetto però questo rischio, implicito in ogni operazione che abbia carattere aperto. So soltanto da dove sono partito.

 

 

Dal volume di Plinio Mesciulam, Macroscopia del segno precario, Rotta editore, Genova, dicembre 1973