materiali sulle arti a genova, 1960-2018





1990: PIANOFORTISSIMO AL CARLO FELICE
di Sandro Ricaldone


IL PIANOFORTE CON I TACCHI A SPILLO

In una città frettolosamente pavesata per i mondiali di calcio, gli enti pubblici e le istituzioni preposte al governo della cultura - dopo mesi di latitanza - tornano in campo, con una raffica di manifestazioni.
Dal nulla al troppo, dovremmo dire guardando al numero delle iniziative, non fosse che uno sguardo rivolto alla sostanza delle cose avverte trattarsi d'un "troppo" fatto pressoché di nulla, d'un passaggio dall'inerzia alle inezie.
Così é, ad esempio, per la rassegna "Pittura di paesaggio in Liguria tra Otto e Novecento", che raccoglie nel Chiostro triangolare di Sant'Agostino opere arcinote, da sempre visibili presso la Galleria d'Arte Moderna di Nervi (attualmente in fase di restauro), fornendo tuttavia in catalogo un'utile ricostruzione d'un secolo di collezionismo pubblico e privato a Genova; così, non meno, per la mostra della Collezione Cernuschi Ghiringhelli - recentemente acquisita, dopo vicende che a giusto titolo possono definirsi rocambolesche, dall'Amministrazione civica - che si terrà dal 13 giugno prossimo a Villa Croce: un replay nient'affatto esaltante della manifestazione con cui, cinque anni or sono, venne inaugurato il Museo d'Arte Contemporanea, che si paventa possa prefigurarne il definitivo assetto.
Dell'esposizione che la Sovrintendenza ai beni culturali della Liguria dedica alla figura di Domenico Fiasella nulla possiamo riferire giacchè il sadismo degli organizzatori - a dispetto di manifesti e striscioni che conclamavano l'apertura della rassegna - ci ha fatto respingere alle porte di Palazzo Reale, ove ancora si attendeva l'espletamento del burocratico cerimoniale d'inaugurazione.
Incidente, questo, comunque non privo d'un favorevole risvolto nel consentirci di riservare uno spazio più ampio all'evento clou di questo fine stagione: "Pianofortissimo", che Gino Di Maggio e Paolo Minetti hanno allestito nella piazza coperta del Carlo Felice, raccogliendovi un buon numero di oper/azioni realizzate su questo strumento musicale da artisti Fluxus od affini.
Sebbene non si tratti d'una autentica novità, dato che l'iniziativa era stata originariamente proposta nell'ottobre scorso alla Fondazione Mudima di Milano, l'effetto sorpresa non viene meno: anzi, per così dire, si esalta nel tagliente contrasto fra l'ambiente aulico concepito da Aldo Rossi per il nuovo teatro lirico e lo spirito ludico che ha animato gli interventi dei diversi artisti.
Genova d'altronde, mostrando per una volta almeno tempestività, aveva saputo inaugurare negli anni scorsi - grazie alla mobilitazione di organismi culturali come il Centre Culturel Franco-Italien Galliera, il Goethe Institut, l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università; di gallerie private come lo Studio Leonardi e l'Unimedia di Caterina Gualco; di critici quali Enrico Pedrini, Carlo Romano e chi scrive - quel Fluxus Revival che oggi va espandendosi con slancio inarrestabile, singolarmente sponsorizzato nella sua impresa di "sovversione individuale" dalla grande industria (l'Eni per "Ubi Fluxus, ibi motus" in corso a Venezia sotto l'egida della Biennale; qui l'Associazione Industriali presieduta da Titti Oliva) e dal P.S.I..
Singolarmente: ché se il garofano può benissimo essere appuntato da Takako Saito fra i capelli d'un Philip Corner impegnato a suonare il piano con i gomiti, facendo sobbalzare innumerevoli cubi di carta sparsi sulle corde, ci par difficile immaginare l'accigliato Bettino divertirsi mentre Ben svolge da un capo all'altro dell'ambiente un grosso rotolo di carta; o tener dietro a Barbablù (Robin Page, alias "Bluebeard") nell'atto di scappare prendendo a calci una chitarra giocattolo, ovviamente azzurra.
La bizzarria degli interventi, taluni artatamente infantili (c'è chi dispone sul piano le statuette dei sette nani dipinte nei colori dell'iride), altri tecnologici, come quello di Nam June Paik che introduce nel mobile mini televisori che trasmettono immagini astratte, od antropologici (Claudio Costa ha infilato il piano, di sbieco, in un recipiente, contornandolo di pale e rastrelli; La Monte Young ne ha fatto una greppia), altri infine espressione di estremismo oggettuale (il novorealista Arman ha, ad esempio, rivestito lo strumento di tubetti di colore mezzo spremuti), benché non possa ormai più dirsi realmente provocatoria, evidenzia una libertà inventiva che rimane, seppur con qualche sintomo di stanchezza, imprevedibile.
A poco meno di ottant'anni, John Cage, ideatore nel 1938 del "piano preparato" in cui introduceva oggetti atti a modificarne il suono, che ricordiamo fischiatissimo (e difeso con veemenza da Demetrio Stratos) solo pochi anni fa' al Margherita, ci dà una vivace prova di creatività con "Please play or the mother, the father, or the family" (1989) un pianoforte a gambe all'aria appoggiato su una pila di stoffe multicolori. Wolf Vostell rende "Sordo-muto" il suo piano con una colata di cemento. Geoff Hendricks ne fa, empiendolo di ciottoli levigati, una spiaggia. Robin Page lo cosparge di pece e piume. Giuseppe Chiari lo interpreta come scultura.
E chi, al termine del percorso, non avesse saziato ancora la propria curiosità può scendere in Vico dei Garibaldi, all'Unimedia, dove per tutto il mese (ed oltre) sarà visibile una personale di Philip Corner: "1960-1990: vecchie partiture e nuovi disegni".

 

 

1990