materiali sulle arti a genova, 1960-2018





1975: POESIA AL FEMMINILE
di Anna Oberto









Il raro interesse del curatore del supplemento Le Lettere, Vincenzo Accame, nel dedicare questo numero all’argomento che lui stesso ha indicato proponendone il titolo «Poesia al femminile», deriva non solo dall’impegno sostenuto in questi anni «di informare il lettore su quelle attività di ricerca culturale e sperimentazione interdisciplinare che meno fruiscono dei consueti servizi di informazione, tutti più o meno legati a “centri di potere” …», (si è sempre trattato di una ricerca di «libertà manifestative» di espressione come campione di «liberazione culturale», implicante quindi una dimensione «ideologica» del lavoro stesso, un atteggiamento culturale che ne informava la struttura stessa, esplicitantesi in una dimensione di «nuova circolazione» attraverso nuovi strumenti di comunicazione, fuori del mercato e della cultura ufficiale), ma anche dall’occasione di una mostra «esposizione internazionale operatrici visuali» promossa da Ugo Carrega al Centro Tool di Milano nel 1972, cresciuta poi in interesse, in un progresso di mostre programmate in altre gallerie e centri culturali e politici. Una collettiva che, catalogando sole «operatrici», ha conseguentemente implicato nel discorso dello specifico letterario anche quello socio-politico della donna operante in cultura nella società moderna e, in parallelo, della cultura – in specie artistica – nell’attuale società consumistica. Implicazioni rilevate nel mio testo (mi fu richiesto da Carrega di presentare la mostra che era organizzata da Mirella Bentivoglio) e presenti nel mio stesso lavoro, anche se scarsamente impegnate nei contenuti dei lavori delle ignare espositrici, implicazioni sollecitate da un’esposizione impostata come «censimento» delle donne artiste o poetesse visuali. Da ciò la necessità di «rivelare» l’implicita ghettizzazione esistente in questa operazione, da me «rilevata» ma non certo intesa e condivisa, infatti non si trattava di una mostra femminista né di femministe. Ne propone però una lettura del senso nascosto, o fin troppo manifesto, del perché sia stato possibile che si verificasse un fatto come questa mostra, a dispetto di tutte le ironizzazioni superficiali e le accuse di massimalismo utopistico con cui i vari movimenti di liberazione della donna vengono accolti, quando non rifiutati tout-court, dagli intellettuali progressisti, che si rifiutano che si rifiutano per la maggior parte di approfondirne le problematiche. Ecco perché «Poesia al femminile», per l’analisi di una situazione che si mostra quale elemento di denuncia di una realtà culturale di per sé discriminante. Infatti l’esposizione sarà un punto di riferimento per i diversi livelli di discorso proposti dagli autori nei testi che di seguito possono essere confrontati, sul tema della presenza creativa della donna nella società culturale «al maschile».
Questa situazione è stata eccepita anche al momento dell’organizzazione, nel rifiuto di alcune operatrici a partecipare ad una selezione sessista, motivando la priorità della definizione di «artista» sulla condizione di «donna». Si possono ricavare due tipi di riflessione sulla negatività di questo atteggiamento: e nel tranello giocato nel considerare la situazione dell’artista (uomo o donna) una situazione «neutra», di privilegio, astratta dalla condizione sociale della divisione delle classi nella società capitalistica, del potere di una classe sull’altra implicante il potere di un sesso sull’altro, e nell’inscindibilità a livello storico-sociale del lavoro prodotto dall’individuo che lo produce, essendo la società in cui operiamo fondata proprio sulla divisione dei compiti in base alla distinzione dei sessi (uomo = produttore dei beni / donna = custode di questi beni → proprietà e famiglia), un condizionamento che inizia dalla nascita, come educazione e cultura, poi come inserimento subordinato e senza potere a livello sociale (lavoro o matrimonio). Le autrici che lavorano sul «linguaggio di massa» ben conoscono il ruolo di domma-oggetto esplicitato nel linguaggio della nostra società dei consumi; si nota qui l’occasione trascurata di una denuncia attiva dello sfruttamento linguistico (specchio del sociale) di cui siamo oggetto.
Il contrasto di atteggiamento politico all’interno di una stessa problematica, che oppone le donne che agiscono «in cultura» ma pur sempre in termini di cultura maschile, e perciò si considerano già liberate, alle proletarie come uniche «sfruttate», propone anche il problema dell’indebolimento che si attua nel lavoro culturale dalla frantumazione molteplice dei vari gruppi e movimenti che si occupano della liberazione della donna e che sottolinea l’impreparazione storica ad affrontare la propria emancipazione, da condurre con una nuova linea di «lotta poietica».
Eccezionalmente significativa si profila la manifestazione libertaria individualista nei movimenti che rifiutano una lotta antagonistica col maschio per la partecipazione paritaria al potere, ma propongono un rinnovamento filosofico di segno emblematicamente liberatorio, con la partecipazione della qualità «al femminile», nella «nuova ipotesi societaria» di «una somma di individualità culturali».
La tematica della «poesia visuale» fornisce un altro termine per l’analisi, nel confronto tra l’antica diatriba, tra forma e contenuto, esistenti in una società in cui la donna era oggetto della storia e quindi «… non può che tenersi attaccata / stretta ai contenuti perché la sofisticazione / delle forme è cosa che riguarda il potere …», e la nuova posizione che sta conquistandosi, che viene rivelata dalla creazione di nuovi linguaggi poetici, in cui l’espressione linguistica è in diretto rapporto semantico con la manifestazione delle proprie istanze contenutistiche.
Questo tipo di rapporto culturale liberazione femminile come liberazione dal linguaggio al maschile era impegnato nella presentazione alla prima mostra, in un testo utopistico di cui propongo di seguito la rilettura, insieme ai nuovi contributi raccolti nel curare «Poesia al femminile». Tenendo al presente in citazione sottintesa e per riferimento a tutte le tematiche qui non affrontabili i testi sino ad oggi pubblicati, soprattutto di autrici, sul problema femminile come problema culturale «… smentire la cultura significa smentire la valutazione dei fatti in base al potere … la deculturalizzazione per la quale optiamo è la nostra azione … ripercorrendo le tappe iniziali della vita in simbiosi col figlio, la donna si disaccultura …». Non tralasciando, anche se soltanto per inciso, non disponendo dello spazio e rinviando a testi qualificati citati in estratto bibliografico, di sottolineare come anche le società socialiste occidentali non abbiano risolto ini modo equilibrato il problema della liberazione della creatività della donna in rapporto al privilegio della cultura al maschile. Mentre sembra di poter guardare anche per questo particolare argomento alle soluzioni che si stanno realizzando nella società socialista cinese, dove la donna si è trasformata in persona culturalmente e socialmente impegnata, i ruoli maschile e femminile sono intercambiabili, non più precostituiti né a livello sociale né familiare, per una integrazione, anche nell’allevare e educare i figli, che si realizza in un più che la somma delle ex singolarità a livello psicologico (liberazione dal mammismo e dal paternalismo), per la distruzione dell’autoritarismo, delle gerarchie tra i sessi, tra le generazioni, tra le classi; con la liberazione della donna si realizza quindi una non-famiglia, una unità rivoluzionaria aperta all’inserimento in una n uova società in cui trova disponibili i servizi collettivi che le sono indispensabili per una utilizzazione totale delle attività di lavoro e di libera creatività non più condizionate da schemi rigidi dettati dalla produzione o dalla burocratizzazione.
In «Poesia al femminile» ho tentato di implicare, nelle diverse situazioni che provocava l’argomento, la collaborazione delle «diverse» persone che, oltre lo stesso Vincenzo Accame e me si sono trovate a contatto con i lavori delle «operatrici visuali».
Ugo Carrega, alla richiesta di esporre le «ragioni» assunte nel promuovere quel tipo particolare di mostra, non ha inteso essere coinvolto dai significati che la mostra ha poi impegnato.
Mirella Bentivoglio, instancabile organizzatrice e preziosa raccoglitrice di opere, che ha presentato in seguito nelle gallerie Il Brandale di Savona e Artivisive di Roma, propone un ampio e approfondito contributo critico a livello letterario per ogni autrice presente, motivandone la scelta.
Stelio Rescio, direttore del Centro d’arte e cultura il Brandale di Savona, nel quale aveva già presentato personali di alcune delle operatrici visuali presenti nella collettiva, notazione indispensabile di un interesse «in anticipo» culturale e di una specifica conoscenza di autori donne, in un circolatorio che si propone come alternativo al mercato ufficiale e ai canali del potere per una precisa connotazione ideologica, e questo per situare il tipo di contributo atteso da lui, ha proposto una puntuale analisi delle opere di ciascuna autrice, attraverso una lettura specificamente socio-psicologica che ne evidenzia i dati espressivi in quanto manifestativi dell’esperienza «al femminile».
Sylvia Franchi Finizio, direttrice della galleria Artivisive di Roma, una donna anche essa tesa all’argomento specifico del femminismo, con una professione che la situa in una posizione di «potere culturale», e infatti le recensioni, cioè l’attenzione dell’ufficialità culturale espressa dai critici d’arte che dispongono del «giornale» o della «rivista», si sono avute e in abbondanza solamente in questa sede o «luogo» specificamente culturale, è l’unica donna gallerista a Roma che abbia già presentato in autonomia d’interesse l’avanguardia poetica, in un ambiente dove si è sempre considerato degno di attenzione solo un prodotto di derivazione artistico-pittorica mercificabile anche se conceptual. A lei abbiamo chiesto quale è stato il riscontro del «suo» pubblico iperculturale verso una mostra «speciale». Ci ha sottolineato l’interesse didattico e politico che è stato recepito, tale che è risultato insufficiente per l’informazione il breve tempo di esposizione, dichiarandosi disponibile per la riproposta della mostra (pur sulla base di un’appropriata collaborazione) in un periodo più ampio, dilatando le presenze e impegnando più a fondo la tematica femminista.
A questo livello si integrano, assunti a «campioni» di recensione due estratti dei critici Sandra Orienti e Marcello Venturoli, molto indicativi sia per le loro diverse posizioni personali, sia per i luoghi dove sono stati pubblicati, «Il Popolo» la donna, «Playmen» e «Il Globo» l’uomo.
Oltre ai contributi teorici che compongono «Poesia al femminile», ho pensato, per fornire la maggiore informazione possibile su un argomento «in formazione», di pubblicare per ciascuna autrice le reperibili dichiarazioni delle proprie situazioni di lavoro e la riproduzione di un’opera. Seguono una bibliografia specifica riferita alla mostra itinerante «esposizione internazionale operatrici visuali», ed un estratto citazionario bibliografico delle pubblicazioni, più o meno note, tutte portanti notevoli contributi alla conoscenza e all’approfondimento, per chi ne sarà eventualmente interessato, stimolato dalla complessità degli argomenti che sono stati qui proposti, di un fatto culturale e politico, la donna e le possibilità che le sono date, nell’attuale società di produrre e di partecipare alla trasformazione della cultura. Un fatto tra i più ambiguamente considerati proprio da chi, l’intellettuale e il politico, lo considera una presenza irrilevante o un problema non esistente, non tentando, l’uno di smontare questo luogo comune dell’inferiorità intellettuale della donna, legata alla sua esistenzialità (e dagli impegni che ne derivano e che risolve anche per l’uomo) in confronto alla superiorità razionale dell’uomo – e se la creatività artistica è stata intesa dall’uomo come sublimazione dell’istinto sessuale, per contro, in un recente convegno femminista … si è posto il problema della repressione del desiderio di creatività artistica della donna come causa di frigidità a livello sessuale, quindi repressione culturale uguale repressione sessuale – volendo ignorare che la donna è anch’essa un individuo «completo» nella sua diversità, e soltanto la storia dell’uomo l’ha dimezzata, negando valore di «creatività» al suo senso della vita, anche nel suo significato di «creazione della vita»; non prendendo coscienza, l’altro, che lotta di classe non è solo far cessare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma anche dell’uomo sulla donna, e non accettando, da detentore di un potere minacciato, di riconoscere le istanze femministe contro la famiglia in quanto nucleo paladino della proprietà privata, contro il valore del denaro che condizione la vita e la morte, contro la violenza in tutte le forme istituzionalizzate, contro il potere tout-court.
Nell’attuale situazione di crisi culturale e dei valori, e quindi di disfacimento totale cui si sta precipitosamente avviando la società che li ha fin qui rappresentati, vorremmo utopisticamente proporre un nuovo modo «mentale» di vedere la donna e la sua partecipazione culturale come il fatto nuovo capace nella sua forza erompente, di costruire una diversa globale gestione del mondo.
Per non concludere in facile ottimismo, mi intriga notare l’anacronismo di questa problematica, se messa in rapporto con i risultati della ricerca scientifica (pur sempre determinata dal potere maschile), che in un futuro che è già cominciato realizzerà la riproduzione dell’uomo in provetta, con la conseguenza di annullare una delle realtà che sono state alla base della distinzione dei ruoli fra i sessi, quella della maternità e dei miti ad essa connessi (addio mito di Edipo; ispiratore e tiranno di tanti nostri letterati, come giustificheranno la loro presenza?) con l’asservimento alla famiglia patriarcale, la riduzione ad oggetto sessuale ed a simbolo del peccato fino dai tempi mitici, tanto che duemila anni di cattolicesimo hanno condizionato gli uomini a considerare istituzionalizzata la condizione di inferiorità della domma, res menstruarum.
Mentre a livello culturale e sociale ancora non abbiamo realizzato una parità di valore della «diversità» del maschile e del femminile, sulla quale per secoli si è impiantata e impantanata la civiltà al maschile, a livello scientifico si sta forse già eliminando la diversità: di quale «Poesia al futuro» dovremmo quindi occuparci?

Manifesto femminista anaculturale
Anna Oberto, dicembre 1971

[…] Liberazione femminile come liberazione del linguaggio? Accettiamo quindi una situazione «razzista» cui ancora le donne in cultura sono condizionate e usiamola come strumento rivelatore di scandalo di questa situazione. Accettiamo di conseguenza anche il rischio di un «censimento» umiliante, che può erompere in un’altra denuncia chiarificatoria del rapporto di alienazione: perché le donne in cultura producono meno degli uomini? Si dà spesso una facile risposta: nell’attuale situazione culturale al maschile, nessun lavoro creativo e non libera la donna dall’occuparsi delle cose di casa. Fino a quando avremo formato una cultura «nuova», con la partecipazione integrante attiva della donna e nuove strutture sociali che sostituiscano il suo impegno materiale. Accettiamo questa mostra perché pensiamo che non l’uomo è il nemico ma uomo e donna sono condizionati dai modelli di comportamento socioculturale che l’uomo, lui stesso, ha imposto.
Questa mostra perché. Il rapporto di antagonismo classista uomo-donna è emblematico di un altro rapporto di antagonismo classista arte società, in quanto divisione del lavoro e alienazione delle attività e opere artistiche nei loro rapporti tra significato e realtà che vengono ugualmente mercificati. Come liberare l’opera d’arte nel significato dal valore di scambio che la riduce a merce? Come liberare l’operatore artistico dalla divisione capitalistica del lavoro che lo inquadra in una categoria economica?
La liberazione della donna esige il superamento della contrapposizione categoriale uomo-donna così come la liberazione della divisione tra attività artistica e passività economica esige il superamento delle categorie arte-lavoro intese come complementarità strutturali dell’ideologia borghese (mercificazione dell’opera e controllo dell’operatore). Nella utopia di una liberazione totale del significato dell’arte dall’alienazione del lavoro inteso come merce. L’arte alienata dei supermercati della cultura farà posto ad un’arte liberata in una comunità senza classi e senza privilegi. Per restituire alla completa autonomia l’attività di ricerca e di creazione de significato non più privilegiata al lavoro necessario al quale tutti partecipare. In una situazione di passaggio fino all’utopia nella liberazione dal lavoro tout-court e manifestazione globale dell’attività poietica.



da Le Arti, anno XXV, nn. 10/11/12, novembre dicembre 1975, pp. 43-44