materiali sulle arti a genova, 1960-2018





GENOVA: LA CULTURA DI UNA POLITICA #1



 

IL GOVERNO DELLE ARTI VISIVE
Palazzo Bianco, il Centro Didattico, il Falcone, Villa Croce

Palazzo Bianco, quasi di fronte a Palazzo Rosso, raccoglie quadri, capolavori dell'arte fiamminga e genovese.
È stato anch'esso un “sacrario”, come Palazzo Rosso.
Palazzo Bianco ha un Centro Didattico che ha ospitato, negli ultimi mesi, mostre fortunate: Turner, Daumier, in questi giorni Warhol.
L'ala settecentesca del palazzo, che si apre sul giardino interno confinante con il Tursi, ospita dal 1978 i corsi di formazione per insegnanti, dalla scuola materna fino alla secondaria superiore. I corsi, riguardanti la percezione visiva e le tecniche artistiche (dall'incisione al visual design), hanno come scopo non solo l'apprendimento di determinate tecniche ma anche la conoscenza degli strumenti per un'interpretazione critica delle immagini. Nello spazio ritrovato, gradevole in sé e per la vista sul giardino, hanno potuto così ritrovarsi insegnanti finalmente di materie diverse, attorno ad attività coinvolgenti come la fotografia o l'utilizzazione di materiale “povero”.
Nelle nuove sale del Centro didattico sono così ben presto apparse, appese e danzanti, maschere di carta bianca e Mascheroni manieristici riprodotti in serigrafia, verdi e rossi, così come si è potuto partecipare ad animate discussioni sulle tecniche pubblicitarie dei manifesti accanto ad elaborate teorie della comunicazione. Un modo, questo, di mettere in pratica, festosamente, una linea programmatica spesso perseguita con fatica.
E a questo carattere di festosa occasione di cultura si può ricondurre anche la recente mostra di Turner che si è aperta alla vigilia del Natale '80 nel Centro didattico per l'occasione sgombrato da torchi e scaffali e attrezzato per mostre di La mostra, visitata da più di dodicimila persone - una cifra record per Genova - ha fatto incontrare i genovesi in uno spazio felicemente riscoperto e ha ridato vita al museo e alle vie intorno.
Il Centro didattico di Palazzo Bianco nasceva dal proposito di far entrare nelle scuole - senza chiuderlo nei licei artistici – la consapevolezza del linguaggio delle immagini. Dalla preoccupazione per Ia didattica scaturiva anche Arte e didattica, una serie di incontri e di iniziative susseguitesi per venti giorni, nel febbraio del 1979, al Teatro del Falcone: una riflessione, aperta a diversi contributi, per capire esattamente come poter impostare un'azione efficace di sensibilizzazione.
A Genova le arti visive contemporanee compaiono, presso l'interesse generale, solo negli ultimissimi anni (la Galleria d'arte moderna di Nervi ospita pezzi fino alle avanguardie escluse; la città tuttora non dispone di una galleria d'arte contemporanea, e l'avrà in Villa Croce). L'interesse genovese a questi temi era dunque molto tiepido, se si dovesse giudicare dalla penuria di iniziative pubbliche su tale fronte; c'erano sì le gallerie private, e ci sono ancora, ma la crisi abbattutasi sul mercato internazionale rende stenta la loro sopravvivenza.
Quando I'assessorato comincia a proporre cautamente alla città mostre di arte contemporanea si scopre che la gente, in tempi precedenti, non aveva fatto registrare consenso alle iniziative solo per il fatto che queste mancavano.
Il Falcone, in via Balbi, è la cinghia di trasmissione delle mostre organizzate dall'assessorato alla cultura con scadenza mensile ormai obbligata. Una cattiva acustica, abbandonato come teatro negli anni Sessanta, il Falcone provò a divenire, in quegli stessi anni. un museo sperimentale, costruito con quadri che venivano chiesti in dono agli artisti: si trattò di un tentativo generoso ma che si spense subito, attorniato da nessun interesse. Fu comunque il precedente. Restaurato nel 1978. cominciò a ospitare quadri, sculture, performances nel gennaio del 1979. Un'unica, grande sala ovoidale evita al visitatore le interruzioni delle stanze una di fila all'altra e la noia del percorso obbligato.
Il Falcone è stato trasformato in questi anni nella galleria d'arie provvisoria del Comune. Continuerà a funzionare così fino al momento in cui (entro quest'anno) la ristrutturazione di Villa Croce non metterà in grado, all'interno del suo vasto parco affacciato quasi sul mare, di raccogliere in un corpo unico il cervello di tutte le sezioni che ora compongono la frammentata voce “arti visive”. La mostra diffusa ogni mese dal Falcone ha il consentito di non sprecare, di non lasciar cadere l'interesse del pubblico, faticosamente sulla via di organizzarsi, offrendo un panorama aggiornato, costruito a tappe, sul mondo tematico dell'arte contemporanea, con attenzione particolare al panorama genovese, e ligure.
Alla ricerca particolareggiata sull'indagine artistica genovese dal dopoguerra ad oggi voluta dall'assessorato, con mostre dedicate a un gruppo. a una tendenza, non sono mancate accuse contemporanee di provincialismo. “Non per sostituire al resto il valore dell'arte locale - sostiene il responsabile del settore arti visive dell'assessorato, Guido Giubbini – ma perché siamo a Genova e non a Roma ed è opportuno conoscere intanto a fondo le nostre forze; prima che conoscendo quelle altrui possa migliorare la ricerca locale bisogna almeno sapere che faccia ha la ricerca locale”.
La funzione espositiva del Falcone è principalmente quella di costituire un raccordo tra le varie esperienze, corredata con l'inserzione, volta a volta, di connotati appartenenti a periodi e gruppi italiani, di spaccati di grandi momenti artistici internazionali, così da poter verificare, far interagire stimoli.
Gli artisti genovesi che ne dicono?
Un rapporto diretto tra artisti e istituzioni pubbliche non è mai esistito, perciò lo scetticismo, la diffidenza, sono le reazioni più ovvie in seno all'ambiente artistico, il quale giunge solo ora a una lenta costruzione di rapporti continuati col Comune.
Il mondo artistico genovese è dominato dalla dissoluzione delle forze in esasperate caselle singole, sprofondate nell'anonimato delle valli, oppure emigrate all'estero da decenni senza alcun rapporto gradevole con la madreterra e in perenne concorrenza. Ogni artista è abituato a lavorare da solo senza aspettarsi nulla; l'ente pubblico non esiste, per esperienza, nei calcoli di sopravvivenza di questi “lavoratori dell’immagine”.
In pratica, nel Comune hanno sempre visto, nel migliore dei casi, la controparte di una contrattazione.
L'assessorato alla cultura ha voluto proporsi come mezzo di incontro tra gli artisti e la città.
Il primo tentativo in questo senso fu la convocazione a Palazzo Rosso di un comitato di esperti: terminato, si ricorda, con Ia autoparalisi delle forze subito in lotta per il posto del protagonista.
Scartata questa prima soluzione genovese, la posizione più corretta ò apparsa questa: le proposte si accettano da chiunque, docente universitario o artista o critico blasonato, I'assessorato si riserva di considerarle; chi propone e poi mette in atto l'operazione culturale ne è responsabile: poi si valuterà il risultato raggiunto. La collaborazione con l'ideatore della manifestazione inizia e finisce con essa, cosicché altre iniziative e modi diversi di pensarle possono liberamente avvicendarsi sul palco cittadino. Tutte dovranno comunque rispondere ad alcuni requisiti fondamentali, che dispone l'assessorato, il quale, naturalmente, non può fare anche le scelte estetiche: non ne avrebbe né la competenza né il diritto. Deve fare capo a qualcuno, un critico. Per questa via si giunge al nome di Francesco Vincitorio, critico insigne ma residente a Roma. Vincitorio è legato all'assessorato da una consulenza a termine, durata prevista un anno, che firma nel 1978. Lui stesso definisce la sua collaborazione una “presenza podestarile”.
I risultati sono soddisfacenti; le arti visive riescono ad attecchire presso il pubblico: due o tremila presenze in media in venti giorni per le mostre locali e intorno alle quattromila presenze per quelle internazionali. Rimangono i problemi di fondo: “Il Comune rimane subalterno rispetto al mercato - osserva Giubbini. Per ora non si può far altro che essere garanti della qualità, cercare di contrapporsi alle tendenze totalizzanti del mercato, offrendo spazi alla ricerca: ma se non si riuscirà ad affiancare al monopolio del consumo privato un consumo anche di massa il nodo che dico non si supera”.
Villa Croce, s'è detto, conterrà tutte le attività del Centro Didattico per le Arti Visive, il Centro di documentazione e ricerca e spazi di esposizione e di incontro. Per Giubbini “il problema non è farne un altro museo: ne abbiamo già molti”. Archivio, biblioteca, fototeca, emeroteca, sì, ci saranno, ma prima di tutto Villa Croce sarà un luogo dove scambiare le esperienze, in cui l'artista possa lavorare e confrontarsi con gli altri. È il primo punto di riferimento su cui la Genova che dipinge o scolpisce o fotografa possa far capo.
Con la villa viene risollevato dalla decadenza anche il parco, ampio, abbandonato a sé, interessato da fatterelli di droga, con qualche quadro di prostituzione spicciola. Alla sera è ora deserto, perché non ha luce che schiarisca i viottoli. Portare cultura, portare gente (portare la luce) a Villa Croce sarà servito a rianimare un lembo di città caduto in quarantena, da cui ci si era ritirati senza combattere e senza contrastare. Fare cultura è anche riprendersi l'agibilità di un luogo, dotarlo di illuminazione e fornirgli le cure di giardinieri: non c'è nulla di secondario in questo.
Mantenere efficiente un patrimonio costa. Disertarlo, trascurarlo fino a perderlo, costa parecchio di più, ma soprattutto è politicamente miope. E ciò che stava succedendo alla maggior parte dei beni immobili cittadini di possibile uso pubblico: “pubblico” significa per taluni “di nessuno”.
A chi torna utile? Il patrimonio del comune di Genova produceva rovine. Dopo vent'anni di incuria l'avvio di una operazione di restauro è il risultato di un difficile equilibrio finanziario, di distribuzione delle risorse. Dal San Filippo a Villa Croce, da S. Agostino al Centro didattico di Palazzo Bianco fino a Villetta Serra, sono questi i primi concreti gradini di una operazione di recupero del patrimonio comunale.
E lo stesso dicasi per l'acquisizione di altri spazi minacciati dall'incuria.

(dal volume-catalogo Genova: la cultura di una politica. Storia per immagini di cinque anni di lavoro culturale nella città, a cura di Mario Guaraldi, Electa, Milano 1981)

 

 

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