materiali sulle arti a genova, 1960-2018





1956-2007: PREMIO D'ARTE DUCHESSA DI GALLIERA
di Anna Lercari


La ricorrenza del bicentenario della nascita di Maria Brignole Sale Duchessa di Galliera (Genova 1811-1888),ci offre l'occasione per fare un bilancio del premio a lei dedicato: un'edizione speciale che consiste in una ricostruzione storica da oggi al 1956, anno della prima edizione nella sua forma più moderna.
Il Premio d'arte Duchessa di Galliera ha origine il 12 gennaio 1874, quando Maria Brignole Sale De Ferrari decise di donare al Comune di Genova Palazzo Rosso e le sue dipendenze; una parte del reddito proveniente dagli affitti di tali dipendenze, sarebbe stato poi destinato a pensioni, sussidi e assegnamenti, attribuiti a giovani artisti liguri meritevoli, di condizioni poco agiate, desiderosi di proseguire e perfezionare gli studi nel campo artistico e di aggiornarsi e visitare a scopo didattico le città italiane (preferibilmente Roma o Firenze). Queste prime forme di promozione artistica erano assegnate con cadenza annuale, dopo il parere vincolante del collegio dei professori dell'Accademia Ligustica di Belle Arti per le classi di scultura, pittura, architettura e ornato; alla fine del primo anno di pensione, l'artista beneficiario avrebbe presentato un saggio dei suoi lavori, e la commissione avrebbe deciso se confermarne il pensionato (fino ad un massimo di 5 anni) (1).
Negli anni il premio avrà un'evoluzione e dovrà affrontare alcune problematiche connesse alla società in trasformazione: nel 1939 (2) durante una riunione della commissione artistica per un pensionato di pittura, la giuria discute sulla presunta illegalità della partecipazione al concorso di una donna, dato che il bando cita "un giovane studente" e non parla al femminile; dopo un acceso dibattito la commissione decide di ammettere la candidata al concorso, ma in seguito alla valutazione delle prove viene dichiarato vincitore un concorrente di sesso maschile (3).
Una cesura netta si avrà dopo il 3 gennaio 1953 quando - in seguito ad un accordo tra il Comune di Genova, il governo francese, l'Accademia di Belle arti e dell'lstituto di Francia a Parigi - viene istituita la borsa di studio, intitolata Premio d'Arte Duchessa di Galliera, da assegnarsi annualmente per concorso ad un artista ligure (4) di condizioni economiche poco agiate, che non abbia superato il 40° anno d'età, per consentirgli di effettuare un viaggio in Italia o all'estero. Le domande di partecipazione avrebbero dovuto essere corredate da una ricca documentazione, tra cui titoli di studio, curriculum dell’attività svolta e un’opera originale, oltre a un programma accurato dell'itinerario che il candidato intendeva compiere (5); al termine del viaggio il vincitore avrebbe consegnato una relazione dettagliata dell'attività svolta (6). La giuria doveva essere composta dai rappresentanti delle principali istituzioni cittadine competenti (servizio Beni Culturali, Soprintendenza, Accademia Ligustica di Belle Arti e Università) (7) La prima edizione dr questa forma più "moderna" del premio si realizza nel 1956, ed è questo uno dei termini di riferimento cronologico che consideriamo per la mostra.
Nel corso di oltre cinquant'anni il premio ha subito delle trasformazioni, a partire dall’entità (aumentata nel tempo) (8), alla periodicità (da annuale è passato nel 1991 a quinquennale, per poi divenire triennale nel 1996), al limite d'età dei partecipanti al concorso (da 40 è stato abbassato a 35 nel 1976) (9), alla tipologia di opera da presentare (10), al sopraggiunto obbligo dei vincitori di lasciare un’opera presentata al Comune di Genova, perché entrasse a far parte delle Collezioni Civiche (11). Ha inoltre attraversato vicende alterne, con momenti meno “fortunati”, sia di disinteresse da parte degli artisti (negli anni ’80 erano pochi i partecipanti) (12), sia da parte delle autorità: dal 1987 sino al 1993 ci fu un susseguirsi di passaggi di competenze (13), con la conseguenza che il premio non venne assegnato (nelle edizioni 1987 e 1988) e neppure bandito. Nel febbraio del 1993 un piccolo gruppo di cinque artisti scrisse alle principali figure istituzionali della città per chiedere conto del premio; il 12 marzo un consigliere comunale fece una interrogazione per sapere a quali cause si dovessero addebitare i gravi ritardi nel bandire il concorso.
Finalmente, dal settembre 1993, il premio diventò di pertinenza del Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce (14). Da questo momento si è verificato il tentativo di rendere il concorso più al passo con i tempi, cercando di aggiornarne metodi e strumenti: l’eliminazione dal regolamento del riferimento alla formula ottocentesca del viaggio d'istruzione, sostituito con il rimando ad un sussidio economico volto ad incentivare la ricerca dell’artista, oltre all’eliminazione di alcune formule ormai obsolete come quella della "sana e robusta costituzione" e delle "disagiate condizioni economiche”. Occorre poi sottolineare la rinnovata attenzione per la composizione della giuria, formata per la maggioranza da membri con una preparazione tecnico scientifica (e non da politici, funzionari amministrativi come era accaduto nel periodo di maggior crisi del premio) e la più ampia pubblicizzazione del concorso. Ma la vera innovazione è stata quella di realizzare mostre dell'artista vincitore e di quelli segnalati, accompagnando l'esposizione con un catalogo critico, veri strumenti di promozione dei giovani artisti (per le edizioni del 1993, 1996,2007) (15).

La mostra: alcune riflessioni
Le opere esposte in mostra sono ove possibile quelle originali presentate dagli artisti per partecipare al concorso, altrimenti quelle del periodo in cui ogni concorrente ha vinto il premio. Ciò va indubbiamente a discapito del percorso di crescita di ogni artista: queste opere rappresentano spesso un momento di passaggio del loro lavoro, talvolta molto lontano da quello attuale, tanto che qualcuno potrebbe non riconoscersi nell'opera presentata.
Tuttavia questa esposizione vuole privilegiare l'aspetto di ricostruzione storica del premio, fare cioè il punto della situazione ad oltre mezzo secolo dalla sua prima edizione, per constatare come non solo abbia avuto il ruolo di promuovere la creatività giovanile e di segnalare giovani talenti, ma anche di radunare molti tra gli artisti più rappresentativi del periodo in ambito locale. Lo stesso viaggio-studio - divenuto poi obsoleto ed eliminato dal regolamento di bando - nel momento iniziale (dalle prime edizioni e probabilmente fino agli inizi degli anni Settanta) ha rappresentato per i vincitori un reale mezzo di aggiornamento, un'occasione per innovare la propria ricerca artistica (16), che in alcuni casi ha determinato una vera e propria svolta (come nel caso di Raimondo Sirotti) (17).
L’esposizione non documenta tutte le tendenze della ricerca artistica locale, ma propone "una situazione" ligure, cioè mostra solo una situazione che si è venuta a creare intorno al concorso (si evidenzia ad es. l'assenza delle ricerche verbo-visive, dell'area pop o neo-pop, solo per citarne alcune). Ma la presenza o meno di artisti vincitori è connessa a tante variabili (18) (dalle scelte della giuria, ai limiti d'età, alla mancanza d'informazione e alla possibile indifferenza o scarsa fiducia da parte di alcuni artisti nei confronti delle istituzioni ecc.).
Gli artisti presenti appartengono a diverse generazioni, quindi operano o hanno operato in contesti culturali e ideologici completamente differenti, con una pluralità di tendenze, tecniche, materiali e linguaggi artistici (pittura, scultura, grafica, video, fotografia e installazione).
Il percorso della mostra è cronologico: compiendo una sorta di viaggio a ritroso nel tempo, parte con l'edizione più recente del 2007, per attraversare tutte le tappe di questo itinerario nella memoria.
Le ultime due edizioni del premio sono "al femminile", con artiste che affrontano tematiche sociali e culturali: Rebecca Ballestra (2007) con l'installazione Il peso dell’umanità, presenta una sorta di Madonna contemporanea (la foto dell'artista nel tondo è paragonabile ad un dipinto d'iconografia cristiana) che ci invita a riflettere sul debito ecologico (World Overshoot), una problematica che coinvolge tutto il pianeta: l'uomo consuma più risorse ambientali di quelle che la terra è in grado di produrre, ogni anno più rapidamente. Silvia Cini (vincitrice dell'edizione 2003-2004) incentra il suo lavoro sull'arte relazionale e si muove in vari ambiti, dando alle sue azioni una valenza politica; qui è presente con l'installazione Penelope addio dove, tra lo scorrere inarrestabile del tempo rappresentato da una scena del video in loop, la citazione mitologica diviene strumentale, per contestare un modello femminile ormai superato: la condizione della pazienza e dell'attesa senza limiti non ci appartiene più.

La sezione riservata agli anni 90 presenta artisti accomunati da una pluralità, convivenza e contaminazione di linguaggi, tecniche e materiali extrapittorici: dall’uso di elementi naturali e primari (legno, sale, ossidi di ferro, in un recupero della preistoria e dei suoi simboli) di Lamberto Pellegrini, che affronta ricerche antropologiche, sperimentando sui materiali e sulla loro trasformazione (vicino alla concezione magico-alchemica dell'arte di Claudio Costa) alla contaminazione tra pittura e fotografia, immagini elaborate al computer e resine di Roberto Merani. In Confini d’aria, 2000, opera che ha un accentuato sviluppo orizzontale - derivato dalla sua presa diretta della realtà attraverso l'uso di fotografia e video - l'artista rappresenta fatiscenti e fantastiche architetture industriali, affrontando il tema della rappresentazione dello spazio come luogo della memoria dell’uomo. Lucrezia Salerno interviene manualmente sulla fotografia (elaborata al computer e incisa a mano) per bloccare il flusso inarrestabile del tempo, che scorre dal passato al futuro, in cui il presente è solo un attimo che è impossibile fermare: tematiche centrali nella sua ricerca sono l'uomo, il suo quotidiano e il suo vissuto. Pietro Geranzani utilizza la pittura per realizzare quadri di grande formato con marcati elementi di drammaticità e teatralità, ispirandosi ai maestri del passato (come Géricault, Delacroix, Goya, Caravaggio), in dialogo con gli "errori" delle immagini contemporanee a bassa definizione tratte dai mass media (interferenze, sfocature dei frame da video, delle immagini computerizzate). Caratteristica dominante nelle sue opere è la deformazione espressionistica della figura: nella serie "Ombre ammonitrici" (a cui appartiene l'opera in mostra, le figure deformate in movimento, chiaramente ispirate a Bacon, sono la rappresentazione dell'angoscia, presenze nella nostra coscienza che indicano uno stato d'animo incerto (tra premonizione e consapevolezza).

Gli anni 80 sono caratterizzali da una ricca fioritura di ricerche, tra cui domina la presenza della figurazione, lontana da implicazioni dr tipo naturalistico e descrittivo, una sorta di allontanamento mentale dall'immagine per indagarne nuovi significati.
Le soluzioni scelte dagli artisti sono varie: Pietro Millefiore utilizza immagini fotografiche di storie quotidiane e personali come un filtro che restituisce una realtà raffreddata, per creare attraverso una stratificazione di segni - una sorta di sedimentazione della memoria - e con un'esecuzione marcatamente pittorica e libera, figure in rapporto con lo spazio della tela. Nei suoi lavori di questi anni Giancarlo Gelsomino si può definire citazionista utilizza frammenti di opere desunte dalla storia dell'arte (in particolare dei maestri del Cinquecento) pensate nel loro farsi, come studi fittizi, progetti in cui le immagini vengono reiventate nel momento della loro creazione e integrate con elementi di scrittura, sorta di appunti di lavoro in cui si attua una continua messa in discussione dell'immagine di partenza e una sua reinterpretazione. Roberto Anfossi produce immagini deformate, dalle atmosfere cupe e inquietanti, con riferimenti simbolici e accumuli di materia pittorica, quasi una resa fisica dell'immagine (v. Pittore al cavalletto, s.d.). Sonia Armaniaco, che in questi anni passa con disinvoltura dall'incisione alla pittura al video, costruisce l'immagine attraverso l'elaborazione e la combinazione di altre già esistenti, nel video Il volto raccoglie informazioni o contenuti provenienti da più fonti, visuali e sonore, (dalla foto dell'omicidio di Lee Harvey Oswald, presunto assassino di John Fitzgerald Kennedy, a quelle di catalogazione dei malati mentali dell'archivio Lombroso, alla musica del compositore polacco Penderecki e del gruppo rock-punk Stranglers, ai dialoghi tratti dal film Il volto di lngmar Bergman, ecc.) in una sorta di collage di pensieri, suoni, sogni e memorie. Paolo Palagi si muove per contrapposizioni: da un momento iniziale in cui convivevano geometrie come elementi strutturali e pittura gestuale, antitesi tra ordine e caos, a una seconda fase (v. Senza titolo, 1984) in cui emergono da un fondo monocromo - delimitati da una marcata linea azzurra - segni e pennellate cariche di espressività, tra cui si intravede quel che rimane di una figura.
Un altro filone perseguito dagli artisti vincitori in questi anni, è quello che si ricollega all'astrazione concreta: Giannello Darbo con i suoi raffinati quadri monocromi bianco su bianco (mezzo per annullare ogni emotività derivante dal colore), indaga le minime variazioni di percezione delle forme e della materia lievemente in aggetto, in dialogo con la luce; Mario Carrossino crea una scansione ritmica delle superfici attraverso tratti lineari di colore disposti obliquamente, che talvolta si fondono, si sovrappongono e si contrappongono, nel tentativo di analizzare la luce vibrante. Antonino Cerda porta avanti una rigorosa ricerca formale (influenzato dal maestro Michelangelo Barbieri Viale), in cui i volumi sono scanditi da superfici nette, levigate e forme geometriche essenziali (v. Torsione cubica, 1980). Nel suo lavoro la forma plastica nasce da una serie di esperienze grafiche, in cui il segno nero - pur nella bidimensionalità - taglia e scandisce forme e spazi (v. Studio per scultura, 1989). Con Sculto-pittura n. 1, s.d., Giuseppe Scozzafava realizza strutture in legno e tela dipinta che escono dalla bidimensionalità del quadro per entrare nella tridimensionalità, ed interagire con lo spazio.

Gli anni 70, caratterizzati da una smaterializzazione dell'opera a favore del concetto e del processo mentale che l'ha prodotta, sono il decennio contraddistinto da una maggior presenza di vincitori (19) del premio. ln mostra emergono diverse aree di ricerca, tra cui quella dell'astrazione concreta, con Luciano Fiannacca, Diego Torri, Gianfranco Zappettini e Silvia Rizzo. Le opere di Luciano Fiannacca propongono forme geometriche e cromatismi essenziali, riducendo gli elementi espressivi ai minimi termini e usando materiali naturali come il legno - utilizzato come supporto - di cui l'artista vuole evidenziare le venature (v. S.T.69,1975). Tra gli allievi di Borella Diego Torri è il più rigoroso nella sua ricerca geometrico strutturale: realizza strutture con forme e colori tra loro in rapporto di sequenzialità. Nei suoi "totem" (v. Dal al, l975 e 5/75, 1975) crea una relazione di contiguità logica tra forme (in positivo o in negativo) e colori (dai chiari agli scuri). Gianfranco Zappettini lavora nell'ambito di ricerche ottico-percettive, legato allo stile tecnologico e più freddo dell optical milanese; tra il'64 e il '68 esegue opere basate sulla ripetizione di un modulo nero su bianco (o su rosso), prima ad olio o acrilico su tela, in seguito (utilizzando materiali industriali) applica sul dipinto fogli di materiale plastico adesivo metallizzato (v. Struttura in BX 06/67, 1967). Le esperienze formali a carattere strutturale degli esordi di Silvia Rizzo, la inducono a realizzare costruzioni plastiche geometriche, elementi primari nei quali analizza forme, luce e colore in rapporto con lo spazio e con la percezione del fruitore (come Arancione + luce del 1970). Stefania Maisano, allieva di Edoardo Alfieri, parte dai riferimenti ad una cultura arcaica per arrivare a forme astratte, essenziali, con rimandi a geometrie; sperimenta le potenzialità dei materiali (bronzo, marmo, pietra e legno) dedicando una particolare attenzione alle patine (v. Il pensiero di Ermete, Come in alto così in basso, 1976).
Altro filone è quello che dalla pittura informale prosegue per la figurazione. La ricerca di Giuseppe Trielli parte da una rigorosa analisi conoscitiva sulle superfici dei materiali organici e inorganici (legni pietre lamiere, trame di intonaci, frammenti dr tessuti, elementi vegetali ecc.) deteriorati e corrosi dal tempo, che vengono ingranditi, disgregati e deformati per giungere ad un'astrazione dall'apparenza informale, una materia pittorica densa, intrisa di colore e luce (Anatomia vegetale, 1979).
La pittura figurativa di Luigi Grande - strettamente connessa alla sua esistenza – ha ascendenze espressioniste, mediate da un'attenzione alle immagini dei mass media (istantanee fotografiche o fotogrammi del cinema); tematiche costanti sono la figura e il paesaggio di natura, in rapporto spesso complementare, cioè la figura subisce o determina cambiamenti nell'ambiente in cui si muove. Nelle sue opere l'immagine pittorica si muove, si sfoca e si deforma drammaticamente con riferimento a Bacon (v. Uomo in fuga, 1973). Il lavoro di Emilia Santona parte da una figurazione con ascendenze espressioniste per approdare ad un'astrazione informale dai cromatismi accesi, in questo influenzata dal maestro Rocco Borella, soprattutto nella scelta dei rossi, come in Bozzetto, 1959.
Le ricerche individuali di Giuliano Menegon e Piero Terrone portano ad una riflessione comparata di linguaggi diversi di derivazione concettuale. Menegon ha come elementi costanti della sua ricerca pittura e poesia in continuo interscambio, in un gioco di sconfinamento di campi e sovrapposizione di senso; nell'opera Una storia di bianchi, 1974, (ispirata alla poesia di Cardarelli) parte da una struttura geometrica essenziale per liberare piccole forme semplificate ed evocative e linee dinamiche, quasi a rappresentare la dialettica tra razionale e irrazionale. Piero Terrone utilizza il linguaggio fotografico, riappropriandosi di immagini già esistenti con un uso contenuto dell'intervento pittorico (con ecoline e biacca), per affermare il tema della precarietà della percezione: nella serie Miramare rappresenta un grande albergo in disfacimento, nella sua condizione di instabilità; in Caveaux raffigura la situazione ugualmente precaria dr un cantiere in costruzione, dove la moltiplicazione dell'immagine ha un carattere ulteriormente straniante e inquietante.

La sezione dedicata agli anni 60 vede la presenza di due tendenze in contrapposizione: da un lato l'informale (con le sue esigenze di individualismo, di irrazionalismo e di espressione delle ansie esistenziali), dall'altro le ricerche astratto concrete. La prima tendenza è riprodotta qui da Raimondo Sirotti, nell'accezione di “naturalismo astratto" (forse l'aspetto più caratteristico dell'Informale ligure), con la sua rappresentazione non realistica delia realtà. L’artista parte dal dato naturale per darne una rappresentazione emozionata (in Figure, 1961, mediante velature di colore sovrapposte, fa emergere forme evanescenti). Giorgio Bonelli nella sua prima produzione è ancora astratto-informale (v. Fondale marino,1960); in seguito al suo viaggio a Parigi (20), si caratterizzerà, per una serie di opere legate al ciclo dei Rugbisti (1963-'64), un tema realistico e contemporaneamente simbolico (lo sport inteso come dinamismo, energia e vitalità ma soprattutto metafora della lotta dell'uomo per conquistare uno spazio vitale).
L’altro filone ampiamente diffuso in ambito genovese in questo decennio, quello delle ricerche astratto concrete che si rifanno a nuove valenze di razionalizzazione, è qui rappresentato dalle opere di Rocco Borella (con le sue analisi sulla percezione del colore e di sperimentazione sui materiali) e di alcuni membri del Gruppo Tempo 3: Giancarlo Bargoni, Arnaldo Esposto e Gianni Stirone. Il gruppo si rifà alle teorie gestaltiche per applicarle solo in pittura, rifiutando l'uso di tecniche e materiali dell'industria; pur schierandosi in ambito neo-costruttivista, le loro opere hanno una radice emotiva e fantastica, quindi forme geometriche e colori tendono ad assumere un carattere evocativo. Partendo da questi temi comuni, ogni componente avrà un personale sviluppo della sua ricerca: nella sua indagine sul colore Bargoni perviene ad un'analisi delle variazioni cromatiche, con la costruzione in linea orizzontale di bande di elementi cromatici e materici differenziati. Gli studi sulla forma di Esposto lo portano a realizzare sagome in rilievo su tele monocrome; tali forme estroflesse creano un senso di spazialità grazie all'effetto di chiaroscuro creato dalla luce. In un secondo tempo tali sagome in rilievo appaiono accostate a segni grafici, in una sorta di lettura della genesi della forma attraverso la sua scomposizione. La ricerca artistica di Stirone è costruttiva e rigorosa, elabora composizioni ritmiche con serie di moduli geometrici che subiscono sottili variazioni; le sue trame colorate seguono impostazioni deformanti che portano lo spazio a piegarsi su alcune linee direttrici.
Accanto ad una produzione figurativa, Valdieri Pestelli realizza sculture dalle forme astratto concrete con materiali tradizionali (in prevalenza pietra), segno di un interesse per le potenzialità espressive della materia porosa (v. Riflessioni, 1960), ma si spinge anche a sperimentare materiali "industriali" come fili di ferro e pezzi di piombo (Promessa, 1961).
Altro indirizzo è quello seguito da Franco Leidi che attraverso le incisioni indaga la drammaticità dell'esistenza, raffigurando personaggi tragici, a volti surreali e grotteschi, vicini alla Nuova figurazione: in L'equilibrista (1968) il personaggio ludico tratto dal mondo circense, viene rappresentato come una figura piena di tensione, una sorta di moderno San Bartolomeo scorticato sul quale pesano tutta la sofferenza e i tormenti della società contemporanea.

La mostra si conclude con la stanza dedicata alla prima edizione del 1956 dove sono presenti le opere di Guido Basso (il solo artista vincitore di due edizioni, appunto nel '56 e nel '60) (21) allievo di Enrico Paulucci, influenzato dagli artisti dell'École de Paris (conosciuti durante le lunghe permanenze nella città) (22) l'artista alterna opere figurative a composizioni astratte, costruite con macchie di colore dai cromatismi accesi (come in Senza titolo, 1957). Alle opere di Basso si unisce una piccola selezione di sculture di Sandro Cherchi, assegnatario di un "pensionato" per cinque anni, dal 1935 al 1940, che simboleggiano "uno sguardo al passato", come elemento di unione tra il primo periodo ottocentesco e la fase moderna del premio.

Note:
1) Prima di assegnare una pensione ad uno studente di Belle Arti, un'Assemblea degli Accademici esaminava i saggi presentati dagli aspiranti concorrenti per valutare se ammetterli al Concorso, I candidati che superavano questa "preselezione" potevano partecipare al concorso vero e proprio che durava più giornate, e consisteva in 4 prove da sviluppare con temi assegnati dalla commissione, di cui tre erano verifiche pratiche inerenti la classe scelta (ad es. l'esecuzione di un disegno prospettico, un dipinto ecc.), ed una quarta più teorica, in cui il concorrente doveva discutere in un saggio scritto un argomento di storia dell'arte).
2) Adunanza del 6 maggio 1939.
3) v. verbale del 19 maggio 1939,
4) che sia residente a Genova da almeno 10 anni.
5) v. Bando di concorso per il conferimento di una Borsa di Studio intitolata alla Duchessa di Galliera, Art. 2: "Le domande dovranno essere corredate dai seguenti documenti; [.,.] curriculum dell'attività svolta con una scelta di fotografie dei lavori eseguiti; un saggio dei propri lavori consistente in un'opera originale che dia adeguata dimostrazione delle qualità artistiche del candidato; indicazione del periodo nel quale si desidera possibilmente usufruire della Borsa; programma dettagliato del viaggio che il candidato intende compiere in Italia o all'Estero e piano del lavoro che si propone di svolgere in tale periodo".
6) v. Bando di concorso, Art. 8: "il candidato prescelto assume l'impegno di trasmettere alla Direzione Belle Arti del Comune di Genova nei mesi successivi al suo ritorno in sede, una dettagliata relazione sull'attività svolta durante il viaggio".
7) Art. 3 del Bando di Concorso ' La Commissione Giudicatrice sarà composta dall'Assessore alle Belle Arti; dal Direttore dell'Ufficio Belle Arti del Comune; dal Presidente dell'Accademia Ligustica di Belle Arti; dal Soprintendente alle Gallerie ed Opere d'Arte della Liguria; dal Titolare della Cattedra di Storia dell'Arte dell'Università di Genova".
8) Dalle iniziali L. 500.000, nel 1973 l'importo della Borsa viene alzato a L. 1.000.000, a L. 2.000.000 nel I982, a L. 3.000.000 nei 1984. a L. 5.000.000 nel 1996.
9) Nel bando del 1976 è stata inoltre inserita la regola che possono partecipare al concorso gli artisti che abbiano compiuto 25 anni.
10) Dal 1976 è inserita nel bando (Art. n.2) la richiesta ai candidati di presentare un'opera originale eseguita con tecniche tradizionali: "Sono ammesse soltanto le opere eseguite in tecnica tradizionale: pitture (olio, tempera, acquerello); sculture (a tuttotondo e a rilievo); disegni; incisioni; sia quelle che, utilizzando mezzi espressivi non tradizionali, siano il risultato di una originale ricerca articolata nel tempo e siano realizzate con assoluto rigore formale, regola eliminata negli anni 90.
11) Dal 1976 nel Bando di Concorso, Art.3 è stata inserita la regola secondo la quale: "L’originale, o uno degli originali, prodotti dall'assegnatario della borsa, a scelta della Commissione giudicatrice, resterà di proprietà del Comune di Genova, per essere inserito nelle Civiche Raccolte (Galleria d'arte moderna e contemporanea)”. Almeno un'opera presentata dai concorrenti vincitori, entra così a far parte delie collezioni in un primo momento della GAM di Nervi, ed in seguito - dall'edizione del '93 - del Museo di Villa Croce.
12) Solo tre erano i partecipanti nelle edizioni del 1985 e 1986, due nel 1987 e uno nel 1988.
13) Dal Servizio Beni Culturali nel l987 la gestione del premio passa al servizio speciale Relazioni Culturali (alle dipendenze dell'Assessorato alle Attività Culturali e Scientifiche nell'ambito delle Celebrazioni colombiane), che due anni dopo espleterà i concorsi delle edizioni 1985, l986 e 1987; con provvedimento del 16 gennaio 1991 la competenza passa dal servizio speciale Relazioni Culturali all'Ufficio Stampa e Pubbliche Relazioni.
14) Il 15settembre 1993 viene trasferita la competenza del premio dal Servizio Stampa e Pubbliche Relazioni all'Ufficio Arte Contemporanea (Museo di Villa Croce).
15) Un caso particolare è l'edizione 2002/2004, nella quale partecipano al concorso gli artisti già presenti nell'esposizione Empowerment Cantiere Italia, organizzata dal Museo di Villa Croce in occasione di Genova 2004 Capitale Europea della Cultura.
16) v. in questa pubblicazione il Ricordo di viaggio di Gianfranco Zappettini, vincitore dell'edizione 1971.
17) Nel 1968 Raimondo Sirotti (dopo aver vinto l'edizione del 1967) intraprende il viaggio-studio in Inghilterra, dove avrà modo di vedere Turner, Whistler, Bacon e soprattutto Sutherland, che influenzeranno un rinnovamento nella sua ricerca in direzione espressionista, nei primi anni Settanta.
18) Ad es. nell'edizione del 1957 parteciparono Emilio Scanavino e Gianfranco Fasce, ma, per diversi motivi di ordine burocratico (ad es. Scanavino aveva presentato in ritardo la documentazione necessaria) entrambi i concorrenti furono esclusi e il premio per quell'anno non venne assegnato.
19) Ogni anno il premio è stato bandito e assegnato.
20) Realizzato grazie al Premio d'arte Duchessa di Galliera.
21) Nel bando della successiva edizione del 1961 è stata inserita la regola che potevano partecipare al Concorso gli artisti che non avessero già fruito della stessa Borsa.
22) ln seguito alla vincita del premio nel 1956, l'artista ha realizzato il proprio viaggio-studio a

 

 

dal catalogo della mostra, a cura di Anna Lercari, Falsopiano, 2011