materiali sulle arti a genova, 1960-2018





WORDS
di Isabella Puliafito

 

Quando presentai la mostra "Words" al Whitney Museum di New York nell'aprile '77 la situazione generale era piuttosto diversa sia sul piano politico e sociale che su quello artistico.
Nell'evolversi della situazione sembra che i fatti culturali abbiano sempre minor incidenza sui fatti esterni e che sopravvivano talvolta estraniati da essi.
Mi riferisco qui soprattutto all'avanguardia artistica (se ancora di avanguardia si può parlare), nel campo specifico delle arti visive.
Mi sembra di avvertire un certo senso di distacco sia da parte del pubblico che appare sempre meno coinvolto ed interessato agli accadimenti che da parte degli artisti che sempre più vanno isolandosi.
Il prodotto artistico va di conseguenza astraendosi dal mondo circostante carico di problemi insoluti e difficilmente risolvibili.
L'arte che non ha mai avuto storicamente un ruolo secondario rispetto alla realtà, sta vivendo nel momento attuale un'atmosfera, conscia o inconscia, di disagio e di scomodità.
Mi è sembrato necessario fare questa premessa poiché dopo aver riproposto la mostra "Words" dopo due anni in Europa, col desiderio di approfondire e rinnovare la ricerca, me la sono sentita invecchiare fra le mani. E mi è sembrato incredibile dovermi rendere conto di quanto velocemente un prodotto del pensiero possa invecchiare e tramutarsi in momento storico il giorno dopo la nascita.
Fare un'operazione di raccolta di lavori, fors'anche dell'ultimo decennio e quindi per la maggior parte ancora nuovi e del tutto da scoprire, è pur sempre un'operazione di storicizzazione che rischia di congelare anziché vivificare.
Ma a questo proposito si può discutere a lungo.
Personalmente sono convinta che anche un'operazione del genere può avere una sua importanza e utilità,soprattutto potendo usufruire di spazi pubblici, per offrire ad un pubblico più vasto una possibilità di conoscenza di lavori che in genere vengono fruiti e conosciuti solo da una piccola élite.

Credo di non sbagliare affermando che forse solo il trenta per cento delle persone che vedranno la mostra, sia a Bochum che a Genova, siano a conoscenza dei lavori che vi si presentano e del fatto che alcuni di essi abbiano ormai acquisito un valore storico.
È importante riaffermare che non stiamo trattando nulla di nuovo. La storia dell'arte ha già enumerato esempi diversi di uso del linguaggio ma se si propone un'analisi dei lavori dell'ultimo decennio è perché questo fenomeno, proprio a partire dalla metà degli anni Sessanta, si è allargato e precisato maggiormente mio interesse in questo campo specifico delle arti visive è legato a motivazioni diverse.
Innanzitutto perchè credo che l'aspetto più interessante sta nel fatto che l'introduzione del linguaggio, nel processo tradizIonalmente riservato ai fatti di immagine, abbia consentito e facilitato un'estensione delle ricerche verso nuove possibilità espressive, aprendo quindi nuovi settori di indagine mutuati da ambiti culturali diversi. ln tal modo sono stati recuperati, alla dimensione visiva rapporti conoscitivi, significati e modi abitualmente confinati alla settorialità dei singoli momenti culturali.
Questo tentativo - anche se talvolta non risolto - era appunto di procedere ad una integrazione dei fatti visivi nella più vasta dinamica della cultura contemporanea.
Se da una parte, quindi, si è verificato un momento di grossa apertura, è pur vero che la specificità accentuata di certe ricerche ha contribuito ad un'oggettiva limitazione delle possibilità di comunicazione nel rapporto con il fruitore: nonostante lo strumento usato - il linguaggio - sia nella comune esperienza il veicolo di comunicazione più vasto ed immediato.
A questo si aggiunga il fatto che i tempi di lettura di un testo sono lunghi e richiedono pertanto momenti di concentrazione e disponibiIità alla decodificazione dei messaggi.
È chiaro infatti che i connotati formali e strutturali di una parola letta o ascoltata in un contesto usuale, cambiano radicalmente se la stessa parola viene ad essere isolata o inserita in un sistema di segni diverso, od anche proposta tramite altri strumenti di trascrizione.
Infatti se in un contesto comunicativo abituale le parole hanno valore nella consequenzialità di un discorso o come fatto informativo o gnoseologico, nel contesto dell'arte vengono ad assumere importanza anche i dati formali di trascrizione e la funzione di segno della parola stessa.
Ciò è particolarmente avvertibile nella prima fase di queste esperienze verso la metà degli anni Sessanta e come si vedrà del resto attraverso i lavori in mostra il processo riduttivo che corrisponde a questo tipo di operazione, si è andato ulteriormente accentuando, favorendo la perdita progressiva dei connotati fisici della scrittura, accentuandone invece i dati contenutistici e gnoseologici.
La mostra si pone in questo senso quale consuntivo dei dati di ricerca, cercando fra l'altro di riproporre o di ristabilire una apertura dialogica fra i suoi contenuti e il pubblico. ln questo può consistere l'attualità della proposta. Per favorire una corretta e più agevole comprensione della dinamica del fenomeno, ho ritenuto necessario presentare, all'interno della sequenza costituita da questa mostra, una gamma il più variata possibile di esperienze attraverso le quali si sono sviluppate le ricerche in quest'uItimo decennio.
A tale scopa è stato essenziale presentare l'esperienza del linguaggio medesimo attraverso il maggior numero possibile di "media" in cui si è configurato: dal libro al foglio dattiloscritto, dal video alla scultura, dall'opera bidimensionale al neon, ecc.
Contemporaneamente, ho ritenuto necessario proporre tali esperienze, associandole non tanto secondo il denominatore comune dei "media", quanto piuttosto secondo le specifiche sequenze logiche che l'indagine sul linguaggio propone, indipendentemente dai materiali e dai modi in cui questa stessa indagine si sviluppa. Ho cioè privilegiato il dato di contenuto, per così dire, e di significato che è specifico di queste operazioni.
Allo stesso modo ho evitato il limite che sarebbe stato determinato da un puro e semplice ordinamento in senso cronologico: limite, in quanto avrebbe preordinato dei criteri di consequenzialità arbitrari rispetto alla dinamica oggettiva dei fenomeni che si propongono.
Questa dinamica non è infatti configurabile in termini di sviluppi evoluzionistici, quanto piuttosto come compresenza di problemi espressivi.
Del resto, è ovvio che una impostazione di tipo storicistico non avrebbe potuto prescindere dalla presentazione dei precedenti forniti dalle avanguardie storiche: e cioè dall'esperienza in questa direzione sviluppata, ad esempio, dal cubismo al futurismo, dal dadaismo al new-dada e alla pop-art.
Esperienze, peraltro, rispondenti a motivazioni assai diverse da quelle espresse dalle avanguardie dell'ultimo decennio: infatti, se nelle esperienze storiche, l'uso della scrittura rivestiva un ruolo sostanzialmente subordinato alla dinamica dell'immagine (ne costituiva cioè una sorta di sostegno e di iterazione), nei presenti esiti il punto focale dell'indagine è stato spostato ed indirizzato pressoché escIusivamente suIIe caratteristiche stesse deI linguaggio, e sulle possibilità di significato nel presente.
Questa specificità ha portato, come già si è avuto modo di accennare, ad un processo di riduzione ai minimi termini dei formalismi artistici, e cioè a forme sempre meno rappresentative e sempre più concentrate sui contenuti specifici del linguaggio. Il linguaggio diventa così una forma autonoma di espressione visiva.
Questa forma si è articolata all'interno di due poli di riferimento: da una parte le esperienze cosiddette "concettuale" (m i riferisco soprattutto all'arte americana), in cui il linguaggio si ripiega su se stesso come momento di auto-analisi e di verifica dei contenuti dell'arte: il linguaggio analizzando i propri contenuti diventa un metalinguaggio (si vedano ad esempio Kosuth, Burn, Arakawa); dall'altra esperienze più aperte, meno esasperate e scientifiche, i cui contenuti sono più facilmente identificabili con accezioni poetiche e di sapore quasi letterario.
Naturalmente risulterebbe schematica una classificazione delle operazioni che si limitasse ad individuare dei significati preminenti. lnfatti l'operazione condotta sul linguaggio, in se stessa, comporta costantemente la compresenza di forme, di significati e accezioni diverse.
L'analisi si snoda su basi linguistico-strutturali, contenutistiche e di qualità formali. Ciò anche quando la scelta specifica dell'artista tende - intenzionalmente – a privilegiarne una rispetto alle altre.
Ed allora vedremo lavori in cui pur privilegiando il contenuto specifico della parola (vedi Salvo, Ed Ruscha) vengono sfruttate le qualità espressive del mezzo.
In altri casi, la parola od il testo hanno una funzione secondaria e puramente strumentale rispetto al contenuto ideologico, sia esso di carattere letterario, poIitico, sociologico, linguistico, matematico ed allora avremo una riduzione, un impoverimento della materialità (è questo il caso di Anselmo, Paolini, Agnetti, Venet, Weiner, Barry, Wilson, Mouraud) che viene praticamente annullata in favore di un'esposizione più sintetica dei contenuti.
Pur sempre privilegiando il contenuto ideologico, altri artisti come Anselmo, Merz, Boetti, Carpi, mantengono l'elemento materia come qualificazione, dei contenuti.
In una corrente che si snoda parallelamente, ma che si basa su contenuti più emozionali, liberi e talvolta intimistici (mi riferisco ai lavori di Anderson, Antin, Oppenheim, Chia ecc.) la compresenza di testo ed immagine o di altro materiale (come nel caso di Calzolari e Acconci) ha la funzione di stimolare ad una maggiore partecipazione.
Questa compresenza di testo ed immagine appare anche nei lavori appartenenti alla cosiddetta "story" e "narrative art" (Beckley, Boltanski, Gerz, Fulton, ecc.) dove però si rispettano soprattutto esigenze di consequenziaIità narrativa di cui l'immagine diventa un fatto puramente documentativo.

Certamente avrei desiderato offrire una documentazione più completa ed invece per ragioni tecniche, sia di spazio che di tempo esecutivo, non mi è stato possibile recuperare alcuni lavori che erano peraltro già inseriti nella mia ricerca.
Come ad esempio Hans Haacke (che però non ha voluto esporre in Germania), Joseph Beuys, Jan Dibbets, Hanne Darboven, Gilbert & George, Richard Long, Stanley Brown.
Comunque nonostante ciò spero che un buon numero di aspetti significativi ed emblematici dell'uso del linguaggio sia stato trattato. Il mio intento era soprattutto di offrire degli spunti per aprire o intensificare un rapporto opera /spettatore.

Immagine: Catalogo della mostra "Words", a cura di Isabella Puliafito, Genova, Palazzo Ducale, 28 marzo - 4 maggio 1979.

 

 

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