materiali sulle arti a genova, 1960-2018





SMITH, SCULTURE DI FERRO E DI FUOCO
di Fabrizio D'Amico

 

Accadde nel 1962: che un grande scultore americano, David Smith, venisse in Italia, chiamato ad eseguire una scultura per il IV Festival dei Due Mondi da Gian Carlo Menotti e Giovanni Carandente; che trascorresse un mese a Voltri, presso Genova, guardando alternativamente il Mediterraneo che gli s'apriva davanti, carico di memorie millenarie, gli spazi giganteschi e vuoti della fabbrica dismessa dell' Italsider che era stata destinata al suo lavoro, e lì - a terra, abbandonati - un cumulo incredibile di materiali silenziosi, inerti, in attesa.
E accadde che quel grande scultore, nato nello Stato dell'Indiana nel 1906, che credeva d'aver avuto tutto dalla vita di lavoro (cattedre e premi, mostre itineranti in Europa e in America, fino alla celebrazione della retrospettiva destinatagli dal Moma di New York nel '57), scoprisse, in quella lingua stretta di terra affacciata sul mare, in quel clima così diverso da quello, silenzioso di neve, di Bolton Landing, la provincia del nord ove s'era costruito lo studio, una foga, una determinazione e una forma mai prima d'allora così pienamente attinte.
Lavorò quattro settimane, e gli uscirono dalle mani - tagliate, battute, piegate, saldate dalle presse, dai martelli e dal fuoco - ventisette sculture di ferro che segnano in modo indelebile la vicenda maggiore della scultura contemporanea.
Giunsero a Spoleto, ove Carandente le dispose, legate l'una all'altra da un muto, interrogante dialogo, nell' anfiteatro romano.
"Non avrei potuto immaginare un luogo più bello", ha scritto Smith: che fu consapevole di come quel momento stesse segnando un vertice assoluto di qualità, e di felicità, per la sua scultura.
Tornò a lavorare a Bolton, utilizzando i materiali che s' era fatto spedire dall' Italia; chiamò, con nostalgia, le sue opere, d' ora in avanti e fino alla morte ('65), Voltron e Voltri-Bolton, così come aveva chiamato quelle 'italiane', semplicemente, Voltri; conservando la memoria di quel mese straordinario di lavoro, quando tutto quel che aveva appreso e sapeva - le saldature e gli assemblaggi di Picasso e di Julio Gonzales, il cubismo e il costruttivismo, Giacometti e il surrealismo: l' attraversamento sapiente, insomma, della maggiore scultura del nostro secolo - s' era unito in sintesi nuova, data dalla ricercata ambiguità fra possanza e leggerezza della materia, fra l' allusività affabulante delle 'figure' e la spoglia ostensione di forme interamente astratte, in una moltiplicazione di punti di vista sull' opera (frontale, laterale, di profilo) che Smith auspicava fin dai primi anni Cinquanta e che appunto sta a significare il rifiuto di ogni univoca definizione per una scultura che vuol essere invece soprattutto ipotesi e azzardo di una forma nello spazio.
Sbocciata prima in America, e poi in Italia giunta a una definitivamente piena esplicazione, questa scultura (che segna, assieme a quella opposta di Calder, il vertice della concezione plastica americana del dopoguerra) ha infine lasciato per sempre il nostro paese: per triste ma fatale destino.
Né fino ad oggi vi aveva fatto ritorno; anche se la sua memoria, fatta viva almeno dalle immagini fotografiche di Ugo Mulas, è rimasta a dar linfa ad una intera generazione della nostra migliore scultura.
Adesso, grazie all'impegno eccezionale della PradaMilanoArte, vi fa pur temporaneo ritorno: nella mostra bellissima che Prada ha inaugurato nel suo spazio milanese, per l'occasione ristrutturato e ulteriormente ampliato.
Curata dalla figlia dell' artista, Candida Smith, e accompagnata da un catalogo Charta che comprende fra l' altro le fotografie di Mulas e i taccuini dello scultore relativi alla sua esperienza italiana, la mostra raccoglie tredici sculture datate fra '62 e '64, oltre a numerose opere su carta, ed è un evento di portata davvero internazionale, del tutto inusuale nel panorama espositivo milanese d'oggi.

Immagine: David Smith al lavoro nella fonderia di Voltri.

 

 

recensione della mostra DAVID SMITH IN ITALY, Fondazione Prada, Milano, 16 maggio - 30 giugno 1995
Repubblica, 25 maggio 1995

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/05/22/smith-sculture-di-ferro-di-fuoco.html?
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