materiali sulle arti a genova, 1960-2018





1979: LO SPAZIO DEI GESTI
di Viana Conti









Comune di Genova
Assessorato alla cultura

Arte e città
febbraio-giugno 1979
Palazzo reale
Teatro del falcone
10-21 maggio 1979

Lo spazio dei gesti
ordinatore: Viana Conti

Uno spazio per la città
Lo spazio dei gesti nella scrittura del limite

Per due settimane il Teatro del falcone diventa area tragica (tragoidìa: canto del capro), ara sacrificale: l'Arte si demistifica salendo sul palcoscenico. È nello spettacolo della "messa a morte" del soggetto che i significanti verbali, vocali, gestuali si liberano, producendo sorpresa o godimento linguistico.
In questo spazio per la città viene meno l'ambizione di presentare una galleria di ritratti d'artista davanti a cui estasiarsi o la nevrotica recitazione dei commenti. L'interpretazione ossessiva, la ricerca maniacale del senso è un atto di trasgressione dell'opera nella specularità del linguaggio. Dal suo luogo privato il valore del testo sottrae la delega ai soggetti che parlano nello spazio pubblico della storia.
Da sempre la trappola del critico è quella di fondare la sua funzione sul torpore della massa, la cui forza reale è proprio quella di spingere nella dimensione dell'irrazionale tutta la produzione di senso che le si dà in pasto.
Il fantasma che presiede al bombardamento della massa con immagini, informazioni, simboli è più che un fantasma di Potere un potere di Fantasmi, il cui imperativo resta, oggi più che mai, quello della iper-produzione e ri-generazione dei contenuti.
Sulla proliferazione di immagini e di informazioni si incarna l'angoscia ossessiva della decifrazione del senso. ln questo universo iper/iconico, iper/informatico, iper/critico non è l'immagine della realtà che si produce, né vera informazione, ma semplicemente la messa in scena di tutto ciò.
Questo falso gioco innescato dal potere non è forse sintomo di malattia reazionaria.
La demiurgia repressiva di ieri ò oggi diventata una dolce semiurgia. L'informazione funziona come un dispositivo circolare in cui viene messo in scena - per usare una formula di Baudrillard - il desiderio della platea, antiteatro della comunicazione che, come si sa non è mai nient'altro che il riciclaggio in negativo dell'istituzione tradizionale, il circuito integrato del negativo.
Il gesto che amplifica l'informazione è già altamente sospetto, perché è l'inizio della sua vanificazione, della sua neutralizzazione. La scatola di risonanza dell'evento è già la sua trappola mortale, essendo l'informazione che se ne dà già il riflesso, la traduzione in segno, una forma di degradazione.
La virulenza dell'azione diretta si disperde e si parcellizza nelle bocche onnivore dei media, fagocitata dalla strategia delle lunghe scadenze.
In/digestione di beni culturali Sul fronte delle innovazioni artistiche ogni tentativo di uscire da un ghetto culturale per comunicare direttamente con la massa fallisce: l'Arte non ha ancora trovato il linguaggio dei bisogni del proletariato.
Discussioni, agitazioni, proteste, teatri popolari, interventi nel sociale, rivoluzioni estetiche, sovvertimenti linguistici non solo cadono nel vuoto. lasciando freddi i destinatari, ma riescono addirittura a essere filtrati e propagati dall'apparato borghese di produzione, quand'anche non sono adeguatamente sovvenzionati.
Il semplicismo intellettuale, la falsa immediatezza, la dose di autoinganno detenuta da queste sperimentazioni artistiche denunciano la fragilità di un concetto di progresso fondato più sui mezzi che sui rapporti di produzione. La parola rivoluzione che questi artisti pronunciano è vuota di contenuto sociale e nasce da una metaideologia dell'arte e non nel conflitto quotidiano di vita e morte.
Il terreno della cultura è dominio esclusivo della borghesia e oggi a dir poco ma almeno da Enzensberger in poi, sarebbe stupido mettere in dubbio questa affermazione. La capacità della società capitalistica di digerire temi rivoluzionari e di assorbire beni culturali si moltiplica in maniera sbalorditiva (anche se non più precisamente -sic- sconcertante.
Come il lavoro artistico, dal punto di vista sociale, appare oggi del tutto inoffensivo, così anche la critica altro non può fare che coniare etichette, sancire i prezzi, emettere giudizi di gusto, senza peraltro rischiare gran che.
La forza della critica dovrebbe essere quella della demistificazione del potere, in quanto la critica del sapere non può che essere critica del potere.
Il trattenimento funebre La morte dell'arte, della critica, della poesia, diventa arte della morte, pratica di un'agonia raccontata, rifratta, riprodotta in infinite immagini e presto trasformata, per vie di mercato in lavoro e merce. L'artista stesso, questo "disoccupato recuperato" rischia di diventare identico al suo valore di scambio. Per non stare al gioco di questa fiera della cultura che si maschera da rivoluzione non c'è che dire la verità.
Dietro il secolare "canto del cigno" dell'Arte e dietro la tematizzazione della sua morte trasparisce il volto osceno di una defunta sempre fresca e truccata per un trattenimento funebre di cui non si prevede la fine.
Opera e interprete: ribaltamento di un rapporto Le uniche possibilità della critica nel rapporto artista-opera-pubblico non sono di ordine profetico, ma sono volte a produrre effetti di verità. Contro le proposte di nuovi vocabolari, di nuove ideologie, che potrebbero solo produrre nuovi esiti di selezione. di controllo e di dominio, è l'indagine di uno strato di realtà che può individuare le linee di forza e quelle di fragilità.
Bisogna fare, non produrre, lottare e lottando scoprire nuovi strumenti di lotta, nuove vie, nuovi punti di attacco.
L'intellettuale ha già detto troppe parole quando c'erano poche cose da dire: ricominciando a recitare il suo ruolo di profeta rimetterebbe solamente in moto il decrepito meccanismo dell'autoinganno.
L'opera è irriducibile, non può essere detta, tradotta in Verbo: pena il suo tradimento.
Il critico, ambasciatore del Logos, analizza l'opera in un lavoro di commento, lettura... riproduzione, riducendo la sua forza attiva di creare sensi nuovi nell'egemonia repressiva della logica verbale.
Per rendere giustizia non resta che ribaltare i ruoli e collocare l'opera al posto del critico e il critico al posto dell'opera: in questa contro-analisi l'opera potrà darsi finalmente come "modo" di produzione della critica.

Il carattere intransitivo della “scrittura del limite"

L'avvento del plurilinguismo porta alla riesumazione del ghettizzato, al recupero del "folle dis/corso". Lo spazio della "scrittura dei limiti", come quello della follia, è fuori dal margine della produzione/consumo. Contro il balbettio della normalità quotidiana è l'ineffabile che viene espresso nel discorso folle e in quello poetico (poiesis è controviolenza, è metaforica uccisione dei nostri assassini - tanto per non dimenticare Cooper), L'uno e l'altro regrediscono per recuperare la loro origine evolutiva, l'uno e l’"altro mettono la parola in una situazione di slittamento verso l'atto, il gesto.
Quando il loro divertimento incomincia a diventare socialmente visibile c'è chi interviene per riportarlo nella normalità grammaticale o neutralizzarlo.
Manipolare il linguaggio (che è soglia della rivoluzione permanente, specchio dell'umano, prodotto e trappola della ratio e del positivo) per fare esperienza dei limiti della scrittura equivale ad aprire le frontiere del significabile. ln questo sondaggio dei suoi propri confini quella scrittura che oggi tende a singolarizzare e che mira a fissare quello che è ir/iducibile all'esperienza degli altri è la stessa scrittura che per secoli ha pedissequamente frequentato il fantasma dell'immaginario collettivo. Contro i media, che tendono a collettivizzare ogni sistema di segni, quindi anche il linguaggio; la scrittura autofondante privatizza la "comunicazione", rinunciando alla sua connivenza con gli statuti verbali. L'erosione fonetica del linguaggio quotidiano... trans-lettera riscrivendosi nell'erosione ottica del poeta, che in uno zero linguistico (bianco-silenzio-vuoto) apre il varco alle pulsioni, la cui grande riserva non cessa di lacerare la pellicola della comunicazione dando corpo a sintomi che debordano dalla verbalità, polverizzano il senso e selvaggiamente si condensano in gesti, silenzi, grida.
Sempre più esposta all'usura e all'obliterazione dei testi, dai testi la scrittura transita verso l'esterno: la pagina trasparisce, al di qua e al di là di essa riprendono volto e voce quelle presenze che un segno astrattivo aveva reso assenti.
Quella realtà pulsionale, fisica, estetica, totalizzante, cui lo standard della griglia alfabetica aveva posto il bavaglio, viene riesumata. Ma come l'uscita dal libro è già implicita nel libro, il tradimento della scrittura nello scrivere, il soffocamento della voce nel modulatore di frequenza linguistico, così l'emergenza dei significanti grafici deborda già dalla pagina, ne vampirizza e distrugge la logica e l'ordine per transitare nella teatralizzazione di gesto-suono -colore.
La differenza esistente tra i linguaggi apparentemente illeggibili dell'artista e le licenze locutorie del linguaggio quotidiano (calembours, lapsus, gesticolazioni, smorfie) è che quest'ultimo pratica il sovvertimento nell'area reverenziale della psicosi filiale, mentre i primi, sottraendosi alla soggezione paternalistica eleggono a stato (semiologico) di necessità l’"accidentale" estemporaneo della battuta o l'interferenza comportamentale, strappando disinvoltamente i sigilli alla pigrizia del protocollo linguistico.
Gli "artisti" che attraversano questo spazio di eventi, entrano in un discorso già avviato, in una rappresentazione in corso per de/scrivere la scrittura (come struttura, gabbia, costrizione) aprendo varchi a gesti irruenti e/o di stretta e rigorosa devianza che, in una metodica sfida del senso, riportano alla superficie zone rimosse, sopite memorie del profondo. ln questo recupero politico del dis /ordine della polis è ancora Babele che parla, amplificata in una lingua anteriore dove l'inconsueto abuso delle sue figure sfigura il discorso e ne esorbita i contenuti.
È in questa azione comune e solidale che prende avvio un processo di demistificazione, di colpevolizzazione flagrante delle aureole falsamente innocenti di cui la mercanzia artistica si circonda con tracotanza.

Invalicabilità singolare dei soggetti come progetto comunitario

Le aree di contatto tra quanti producono e coloro che in questa sede fruiscono, ciò che forse non cattura che una protettiva disattenzione, tradiscono le infiltrazioni di fratture vertiginose.
Sbloccate le delimitazioni territoriali delle varie discipline artistiche, abolite le strettoie del sistema, si stabilisce un nuovo gioco di relazioni, in un campo aperto di eventi.
Questa formula che lascia alle azioni degli "artisti" tutta la loro mobilità permette di recepire la dinamica interna delle opere. Non è certo in base all'unità e alla omogeneità delle presenze che si sollecita un giudizio, è invece la vitalità e la funzione del discorso, che si instaura tra i soggetti parlanti, che fa messaggio.
Il dinamico sovrapporsi di situazioni offre due versanti di conoscenza: quello della strategia e dell'avventura, caratterizzato da un principio di assenza normativa. di un modello e di una nuova verità teologale da trascrivere, dove vengono disseminate le opere di Mignani, Bignone, Galletta e il versante della storia e della storia dell'arte che le opere di Caminati, Dellepiane e Pretolani attraversano.
L'opacità di un corpo - o della resistenza – viene da questi "artisti" scelta come superficie da mettere in crisi, come linea di frontiera, come area di presenza e / o di assenza. Come l'arte si riappropria del suo futuro regredendo al gesto della "nominazione prima" delle cose, così la scrittura, pre-scrivendosi nel gesto, si immette nel corpo e nel suo libero significante, Interventi, discussioni, manipolazioni, concerti, prestazioni, filma, ambienti non sono proposti come opere di più soggetti, ma come termini di articolazione di un discorso la cui lettura non avviene sul testo, ma al di qua di esso, su quella soglia dove gli eventi appaiono per scomparire nella ripetizione continua del linguaggio.

Viana Conti

Le opere

Rolando Mignani
10 maggio
I modi della riflessione, relazione
11 maggio
I modi della riflessione, intervento sui testi

Giovanni Angelo Bignone
12 maggio
Ipercubo. Vanity van orchestra, esecuzione di un concerto occasionale
13 maggio
Ipercubo, Vanity van orchestra, dislocazione audiovisiva dal tempo della musica allo spazio del r/umore

Giuliano Galletta
14-15 maggio
Fontane. ambientazione

Angelo Pretolani
17 maggio
La non divina commedia, performance i(n)spirata ispida da o ad un'opera di Z. Krasinski

Aurelio Caminati
19 maggio
Il ritrovamento del corpo di san Marx. Il penultimo degli evangelisti, trascrizione simbolica
Audiovisivo di ore 1 e 1O' relativo alle seguenti trascrizioni:
1. Sperlengueia, 1975
2. I matti del Lissandrino, 1976
3. Caino e Abele, 1976
4. La peste del 1630, 1976
5. Rimozione del rimosso, 1977
6, Il fantasma della libertà, 1978
7. lnquisizione, 1978
8. Il sogno di Ossian, 1978
9. Marat muore. 1979

Beppe Dellepiane
2O-21 maggio
Genesi, materiali & altro



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