materiali sulle arti a genova, 1960-2018




Genova Libro bianco, SAGEP 1967



VERSO IL 68: TRACCE DI CULTURA A GENOVA

di Sandro Ricaldone

 

Sandro Ricaldone Nel 1967, alla vigilia dell’anno fatidico, l’editrice SAGEP pubblica GENOVA libro bianco (1), un’indagine a tutto campo sulla condizione della città - dalla stampa allo scalo portuale, dall’industria all’urbanistica - nel cui ambito la cultura occupa uno spazio rilevante, forse addirittura sovradimensionato.
Nel volume vengono infatti diffusamente trattati i temi della promozione culturale, della letteratura, del teatro e delle arti visive, senza dimenticare infrastrutture quali le biblioteche e gli archivi. Stranamente assente è invece la scena musicale, in quel momento caratterizzato da una peculiare vivacità, così come la dimensione giovanile, già in significativo fermento.
Ne emerge un quadro complesso, seppure non uniformemente propulsivo e aggiornato, e – come si è accennato – sotto alcuni aspetti non esaustivo.
A risaltare in un panorama in buona parte incentrato su figure di altissimo profilo ma da tempo assenti dalla città, come Sbarbaro e Montale (di Caproni, forse il massimo cantore della Genova novecentesca, non si fa menzione), sono alcune iniziative che dalla loro relativa marginalità iniziale si sono venute elevando, nel tempo, ad una riconosciuta importanza sul piano nazionale e non solo.
Fra le riviste, accanto a Il Gallo, d’impronta religiosa, e ad Itinerari, diretta da Francesco G. Rossi e focalizzata su temi economico-sociali, si impone dapprima la menzione di Nuova Corrente, tuttora attiva, che nella denominazione richiama la storica pubblicazione e il relativo movimento culturale creato a Milano da Ernesto Treccani sul finire degli anni Trenta, non privo di significativi echi genovesi.
Fondata da Mario Boselli con Mario Cartasegna e Giovanni Sechi nel 1954, la rivista orientava all’epoca la sua attenzione attorno alla ricerca “sul linguaggio con forti interessi metodologici, soprattutto nel campo della critica letteraria, con deciso impegno di ricerca interdisciplinare” (2) e nel campo dell’estetica semiologica. Alle aperture di Nuova Corrente faceva riscontro, sulle pagine di Diogene (1959-1967), la decisa opposizione di Adriano Guerrini e Gian Luigi Falabrino alla “smania delle mode giudicate negative sotto il profilo culturale, sebbene non di rado molto rumorose” per riflettere idealmente, “pur muovendosi nell’arco della tradizione, i fermenti di un moderno rinnovato umanesimo” (3).
Più ampia la propagazione e il riscontro ottenuto dal Marcatrè, che esordiva nel novembre 1963, il cui impianto spiccatamente interdisciplinare (ospitava infatti oltre alle usuali sezioni letterarie e di arti visive, pagine dedicate alla musica, ai mass media, all’architettura e al design) ideato da Eugenio Battisti, allora docente di storia dell’arte nell’ateneo genovese, era in buona parte affidato alle cure di esponenti della neoavanguardia che, giusto un mese prima, era uscita allo scoperto con la costituzione del Gruppo 63. Nato, come ricorda lo stesso Battisti per una convergenza di due diversi interessi: in primo luogo dal desiderio di creare una rivista di tendenza da parte di “un gruppetto di pittori e poeti attorno a Rodolfo Vitone”, che ne è stato per i primi cinque numeri l’editore, e insieme “dal convergere, a loro volta, di amicizie e relazioni private attorno a Genova e all’Istituto di Storia dell’Arte”, il Marcatrè si avvia “con un programma assai modesto ed elastico, d’informazione (…), vuol suggerire problemi, più che risolverli, mira cioè a rispettare quella complessità che è caratteristica, sempre, d’una cultura in movimento” (4).
L’accoglienza della rivista fu, secondo la testimonianza dei suoi promotori, “imprevista, cioè estremamente favorevole”. Nei primi dieci giorni dall’esordio, vennero pubblicate da quotidiani e periodici non solo italiani una settantina di recensioni, tutte favorevoli, ma la gravosità dei costi impose già l’anno successivo il trasferimento della pubblicazione nell’orbita dell’editore romano Roberto Lerici.
L’indice del primo numero è sufficiente a fornire un’idea del mix che dava sapore alla rivista: la mala informazione, i critici del formaggio, non musica a palermo, la problematica dell’hully gully, gruppo sessantatre, il chiodo del chiodo, tutti o quasi contro argan, una casa nel kew’s garden, zero, marcatrè. Così come stimolanti dovevano apparire i nomi dei collaboratori: per la letteratura Edoardo Sanguineti; per la musica Vittorio Gelmetti; per l’etnomusicologia Diego Carpitella; per la cultura di massa Umberto Eco; per architettura Paolo Portoghesi; per le arti visive Eugenio Battisti, mentre la redazione genovese era affidata a Luigi Tola.
Come accennato dallo stesso Battisti, il Marcatrè non nasceva per una iniziativa personale, ma da fermenti e situazioni già in atto o comunque in stato di avanzata gestazione nella città. Il precedente più immediato è rappresentato dal “gruppetto di pittori e poeti attorno a Rodolfo Vitone” ossia dal Gruppo Studio di Sampierdarena, animato da Guido Ziveri e Luigi Tola, uno spazio di approfondimento culturale e di elaborazione artistica, gradualmente concentratosi sull’ambito della poesia visiva (sul quale organizzerà nel 1965, presso lo spazio che gestiva dall’anno precedente, La Carabaga club d’arte, un’ampia rassegna internazionale) da un originario approccio latamente neodadaista. Dal Gruppo germinerà poi, nel 1965, un’altra rivista Trerosso, più direttamente legata alla sua attività e ai rapporti con altri gruppi e singoli artisti sperimentali italiani e stranieri.
Ma l’opera di scavo nell’ambito del linguaggio era stata iniziata nel 1958 da un’altra rivista: Ana eccetera, fondata da Martino e Anna Oberto con Gabriele Stocchi, sulla scia di suggestioni poundiane. Ana eccetera proseguirà per dieci numeri, con frequenza irregolare, fino al 1971, sviluppando temi di filosofia astratta, analisi semantografiche, proposte metaculturali e interagendo con gruppi affini, come i lettristi, gli schematisti francesi e i postsurrealisti belgi raccolti attorno alla rivista Phantomas. Su Ana eccetera compaiono tra il 1959 e il 1960 i primi esempi di poesia visuale ad opera di Corrado D’Ottavi (5) e taluni testi di Ugo Carrega, il quale nel 1965 inizierà sotto gli auspici di AE - con Vincenzo Accame e Rodolfo Vitone - la pubblicazione di Tool (6), una serie di quaderni ciclostilati nei quali indagava operativamente la “scrittura simbiotica”, “un campo specifico di interferenza fra il segno alfabetico e il segno analfabetico” .
Così, attorno alle pratiche di poesia visiva (o sul versante obertiano di scrittura visuale) veniva affermandosi una nuova generazione artistica, che si affiancava a quella emersa negli anni del dopoguerra in cui si annoveravano figure di spicco come Aurelio Caminati, Giannetto Fieschi, Plinio Mesciulam, Emilio Scanavino, presto affiancati da Rocco Borella, Mario Chianese, Raimondo Sirotti(7).
Ad un altro artista, Eugenio Carmi (allora responsabile della comunicazione grafica dell’Italsider, la grande industria siderurgica aperta dal direttore generale Gian Lupo Osti (8) ad una innovativa azione culturale rivolta sia all’interno dell’azienda, sia alla città) si deve l’iniziativa dell’avvio nel novembre 1963, con gli amici Carlo Fedeli, Emanuele Luzzati e Flavio Costantini, dell’esperienza cooperativa della Galleria del Deposito (9).
Nel piccolo spazio di Boccadasse, già occupato da un magazzino di carbone, fra il 1963 e il 1967, si alterneranno – con il supporto critico di Gillo Dorfles, Germano Beringheli e del giovane Germano Celant – mostre di Max Bill, Victor Vasarely, Jesus Rafaél Soto, Lucio Fontana e verrà lanciata la via italiana al “multiplo”, concepito come strumento di una diffusione “democratica” dell’oggetto d’arte (10).
Qualche mese prima, nel marzo 1963, si affacciava nel circuito espositivo genovese, accanto alla storica Galleria Rotta, una nuova protagonista: La Polena di Edoardo Manzoni e Rosa Leonardi, che dopo un inizio eclettico, si concentrerà sul versante del concretismo e delle sue propaggini più avanzate come gli artisti tedeschi del Gruppo Zero, il Gruppo N, Castellani, Alviani, oltre ad astrattisti storici come Max Bill, Calderara, Sonia Delaunay, Magnelli, Reggiani, Vasarely e l’onnipresente Lucio Fontana che vi allestirà (come al Deposito) uno dei suoi fondamentali Ambienti, ora al MAC di Lione. Fra i genovesi La Polena seguirà taluni esponenti di Tempo 3 (Carreri, Esposto, Stirone, oltre al fiorentino Guarneri), Rocco Borella, Mario Chianese, Liliana Contemorra, D’Arena, Pino De Luca, Gianfranco Zappettini.
Una linea del tutto diversa viene proposta da un’altra galleria La Bertesca, fondata da Francesco Masnata e Nicola Trentalance, che esordisce nel novembre 1966 con una importante mostra dedicata alla Pop Art americana, introdotta da uno scritto di Maurizio Calvesi, in cui venivano presentate opere di D'Arcangelo, Dine, Roy Lichtenstein, Rosenquist, Warhol, Wesley, Wesselmann. L’anno successivo è Germano Celant a curare “Arte Povera / IM spazio” la prima rassegna dedicata alla nuova tendenza destinata ad affermarsi sulla scena europea e mondiale, nella quale – accanto a Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini, Pascali – sale alla ribalta il genovese Emilio Prini. Alla Bertesca si legano anche le prime esperienze di Claudio Costa, esponente di punta dell’Arte antropologica, che con Beppe Dellepiane sarà tra i più influenti autori attivi a Genova negli anni 70/80.
Un’altra impresa titanica era stata frattanto promossa da Eugenio Battisti, seguendo a ruota la pubblicazione del Marcatré. Nel dicembre 1963, infatti, promuove la costituzione del Museo Sperimentale d'Arte Contemporanea "non come scommessa od azzardo ma per il bisogno di democratizzare gli strumenti del conoscere, di estendere la discussione e la fruizione dell'arte contemporanea, limitata per ragioni di strutture espositive e di mercato a tre-quattro città al massimo o ad occasioni estemporanee" (11).
I risultati di questa impresa collettiva - che, ricorda ancora Battisti, poteva "vantare una priorità come modello sia ideologico sia organizzativo" di istituzione museale in progress - appaiono a distanza di tempo quasi miracolosi: un centinaio di artisti accettano di donare opere, esposte prima, a gruppi, nel ridotto del Piccolo Teatro e, quindi, nel 1964, nel Teatro del Falcone. Ma all’iniziativa non corrisponde l’assegnazione in città di uno spazio permanente e la raccolta finisce con l’essere donata nel 1967 al più lungimirante Comune di Torino.
Anche il teatro fa registrare nuovi stimoli. La Borsa di Arlecchino, guidata dal regista Aldo Trionfo e diretta da Paolo Minetti, presenta fra il 1957 e il 1962 gli autori del Teatro dell’assurdo (Adamov, Beckett, Ionesco, Tardieu), ospitando Carmelo Bene ai suoi esordi e rilanciando la carriera di Paolo Poli, straordinario interprete di Clov in Finale di partita (allora tradotto da Gian Renzo Morteo con il titolo Il gioco è alla fine) del drammaturgo irlandese (12).
Il Centro Universitario Teatrale intanto riscopriva l’avanguardia storica con lo spettacolo Hurrrrrrrraaah sintesi futuriste, versi e rumori in libertà (1960, per la regia di G. Gaggiotti). Del 1964, sotto gli auspici del Teatro Stabile (che “non contento” - come osserva Eugenio Buonaccorsi - “di incarnare le ragioni dell’establishment si volgeva a coltivare anche un teatro antagonista” (13) Carlo Quartucci realizzò la messa in scena capolavoro del beckettiano Aspettando Godot, in cui recitavano nomi che sarebbero divenuti centrali nel nuovo teatro italiano come Rino Sudano (Estragone), Leo De Berardinis (Vladimiro), Claudio Remondi (Pozzo).
L’insuccesso dello spettacolo - le cui scene, approntate dallo stesso Quartucci, si presentavano estremamente innovative, poiché riunivano, secondo Giuseppe Bertolucci, “motivi figurativi appartenenti alle espressioni ultime della cultura pittorica, tendenti all’astrazione e alla sintesi, alla deformazione e all’immaginazione” (14) - determina un momentaneo arresto dell’attività scenica del regista messinese. Questi però, su sollecitazione del C.U.T., allora presieduto da Eugenio Buonaccorsi, si dedica ad allestire Cartoteca di Tadeusz Różewicz, interpretato da una trentina di studenti universitari negli spazi della Fiera del Mare, nel maggio 1965. “Quartucci” – scrive ancora Buonaccorsi – “vi impiegò i moduli della Pop Art, rifuse influenze della pittura gestuale e della musica di Cage, recepì le indicazioni di Umberto Eco sull’opera aperta, riadattò certe soluzioni del Living che cominciava allora le sue tournées in Italia. L’effetto complessivo fu quello di una grande manifestazione di vitalità” 15. Nello stesso anno Quartucci realizzò, alla ripresa autunnale, un nuovo spettacolo per lo Stabile, Zip, Lap, Lip, Vap, Mam, Crep, Scap, Plip, Trip, Scrap e la grande Mam alle prese con la società contemporanea, su testo di Giuliano Scabia, architettando una macchina teatrale frammentata, di fonemi e gesti, di personaggi ed oggetti. Chiusa su queste note la parentesi genovese di Quartucci, si registra ancora in città, la presenza del Living Theater, invitato dapprima dal C.U.T. e quindi dal Teatro Stabile con quattro spettacoli: Mysteries and smaller pieces all’Auditorium della Fiera del Mare nel febbraio 1966; Antigone, Frankenstein e The Maids, in sequenza, al Politeama Genovese nell’aprile 1967.
Non particolarmente luminosa – secondo la testimonianza di Claudio Tempo – si presenta la scena musicale, dove pure si contano esecuzioni (sgradite al pubblico non meno che alla critica locale, che arrivava a qualificarle come “rumoracci buoni soltanto per cricche e festival” (16) di brani composti da esponenti di primissimo piano del panorama contemporaneo: Berg, Dallapiccola, Chailly, Webern, Lutoslawski, Stockhausen, Nono.
Fra le associazioni che si propongono di sollecitare e arricchire il dibattito culturale attive negli anni Sessanta, vanno ricordate il Lyceum (il più antico circolo femminile di Genova, fondato addirittura nel 1921), dichiaratamente apolitico e animato in quel periodo dalla scrittrice Minnie Alzona; il Circolo Piero Gobetti, di matrice liberale ma aperto ad esponenti della sinistra laica ad eccezione dei comunisti; la Società di cultura, fondata a metà degli anni Cinquanta, sotto la presidenza dello storico della letteratura, allora docente nell’ateneo genovese, Walter Binni.
È quest’ultima, dove coesistono componenti comuniste e socialiste con altre minoritarie della sinistra, a svolgere il ruolo più incisivo, organizzando nell’arco della sua esistenza (1955-1967) quasi seicento iniziative, tra conferenze, dibattiti, mostre ed eventi musicali.
Alquanto asfittica anche la situazione dell’editoria, nella quale tuttavia si segnala come di assoluto rilievo l’intrapresa di Umberto Silva, già partigiano e direttore della pagina genovese dell’Unità, che dal 1958 al 1971 dirige l’omonima casa editrice indirizzandosi alla scoperta delle letterature latinoamericana ed esteuropea, allora scarsamente conosciute (nelle sue collane vengono tradotti per la prima volta in Italia opere di Jorge Luis Borges e di Octavio Paz e l’Europa familiare di Czeslaw Milosz), e alla proposta di testi capitali della filosofia europea come Kant e l’esperienza della metafisica di Martin Heidegger o Esperienza e giudizio di Edmund Husserl (17).
Meno impegnata, ma comunque interessante, l’attività dell’editore Immordino che negli anni a ridosso del ’68 pubblica in una collana diretta da Milena Milani (365, un anno di) raccolte di articoli di firme prestigiose, da Salvatore Quasimodo a Leonardo Sinisgalli, da Giancarlo Marmori a Camilla Cederna (15).
Fondata nel 1965, la SAGEP svilupperà - dopo la pubblicazione del Libro bianco citato in esordio, avvalendosi del fondamentale contributo di Ennio Poleggi - un’ampia ricognizione sul patrimonio architettonico e artistico della città, affiancata in questa operazione da un’altra editrice locale, Stringa, che con le immagini fotografiche di Leonard van Matt già aveva peraltro curato importanti volumi sulla Roma paleocristiana e la Magna Grecia.
Nel corso degli anni Sessanta, in un quadro che dà spazio ad approfondimenti sull’evoluzione dei paesi africani, asiatici e dell’America Latina, si svolgono presso la Società di cultura conferenze di Carlo Falconi sul Concilio Vaticano II, di Mario Tronti su “Il Capitale oggi”, di Armando Plebe e Gianni Scalia sui "Problemi dell’estetica semantica" (1963); di Elvio Fachinelli e Mario Spinella su “La psicoanalisi come teoria della conoscenza storico sociale”, di Ernesto Rossi sul centenario del Sillabo (1964); e ancora di Renzo De Felice sul tema “Formazione e evoluzione della personalità in B. Mussolini”, di Roberto Leydi con Fausto Amodei e Ivan Dalla Mea su “Mondo popolare e nuova canzone in Italia”. Dopo un interessante ciclo di conferenze sulla Giustizia (1966) la vicenda della Società si conclude, l’anno seguente, con una sequenza di interventi sull’Urbanistica. Nell’esperienza di questa “pattuglia avanzata” (come la definì Norberto Bobbio) gli elementi forti sono stati indubbiamente l’ampio raggio degli argomenti trattati, dalla scienza alla pedagogia, dalla ricostruzione storica all’evoluzione della società, e – come ha scritto la storica segretaria e animatrice, Enrica Basevi - “l’intesa costituita dalla concorde scelta di onestà culturale e scientifica, di non dogmatismo, di rifiuto di posizioni aprioristiche imposte dal di fuori” (18). Una formula nei cui riguardi tuttavia l’ultimo presidente, Attilio Sartori, rilevava alla vigilia della chiusura “una certa stanchezza, plausibile, e anche una certa indifferenza (meno plausibile)” (19) nel momento in cui la nuova ondata “protestataria stava riempiendo la scena, non solo politica, ma anche artistica e letteraria, nel paese e nel mondo”.
Nella cultura genovese del decennio in questione una posizione di rilievo spetta al gruppo di cantautori che annovera tra le sue file personaggi come Umberto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi e Fabrizio De André, che incarnano una gioventù ribelle, bohèmienne e, per certi aspetti melanconica.
“Avevamo bisogno – racconta Paoli, intervistato da Enrico De Angelis – di andare contro certe cose che si sentivano nell’aria, politicamente per esempio. C’era una tensione verso un altro tipo di libertà. Ciascuno di noi era ribelle alla sua maniera. Tenco lo era più che altro in un tipo di atteggiamento sociale, contro il potere, soprattutto il potere intellettuale. Lauzi era uno che pigliava in giro tutti. Io lo ero soprattutto nella mia visione della donna. Fino ad allora la donna nelle canzoni doveva per forza essere o mamma o sposa o mignotta. Io volevo disegnare una donna che fosse persona completa” (20). Interessati al jazz, al rock’n’roll e alla canzone francese (Brassens, Boris Vian, Jacques Brel, Mouloudji) arrivano presto alla ribalta: La gatta di Paoli è del 1960; Il cielo in una stanza, portata al successo da Mina, del 1963. Dello stesso anno è Ritornerai di Lauzi. Tenco pubblica il primo LP, che contiene la bellissima Mi sono innamorato di te, nel 1962, fa cinema e televisione, approda tragicamente nel 1967 al Festival di Sanremo. De André incide La guerra di Piero nel 1963 e pubblica il suo Volume 1 (con la celebre Via del Campo) nel 1967. L’anno successivo i New Trolls esordiscono con Senza orario senza bandiera su testi del poeta anarchico Riccardo Mannerini.
All’inquietudine che traspare dalle canzoni degli esponenti della “scuola genovese” faceva riscontro sul piano sociale una sorta di secessione giovanile. I cosiddetti “capelloni”, sulla scorta di esempi dell’underground inglese e americano e dei provos olandesi, elaborano comportamenti e schemi culturali anticonformisti che al di là del modo di vestire e delle preferenze musicali, si pongono come una radicale opposizione al sistema. A differenza di Milano, dove il movimento esprime una rivista “Mondo beat” (1965), oltre a diversi fogli più effimeri, e dà vita a contestazioni organizzate, a Genova il gruppo che si riunisce in piazza Tommaseo sembra meno incline alla protesta attiva. Ne scrive in questi termini Carlo Romano: “La vivacità artistica e letteraria della Genova del tempo è stata più volte raccontata e più volte rimpianta. Nell'ambiente giovanile se ne avvertiva il sentore e non mancavano i contatti, anche se soltanto individuali. Da quello stesso ambiente non venne tuttavia niente di analogo al tanto celebrato "Mondo Beat". Io sono dell'opinione che a Genova, nel caso, avrebbe avuto caratteristiche diverse, senza alcuna concessione al lamentoso vittimismo dei "capelloni". La voglia di "fare qualcosa" di certo non mancava, ma l'idea prevalente era quella di "lasciarsi vivere". Fra gli elementi che conferivano una sufficiente coesione al gruppo di Piazza Tommaseo c'era quello di darsi alle "rovine", vale a dire a piccole e innocenti provocazioni. Si può dire che fossimo allora un gruppo anarchico (ma non esattamente bakunista) con una netta propensione al "sessual-libertario" (a Genova esisteva fra l'altro una "Comune" informata da quel genere di dottrina). Affittammo così una soffitta nel centro storico che divenne un piccolo e discreto centro di discussione. (…) Contemporaneamente alla scelta della soffitta, la tenuta di Piazza Tommaseo cominciava ad allentarsi. (…) Sembrava che la tendenza fosse quella di risalire il lungo rettilineo che da Tommaseo porta a piazza De Ferrari per rientrare nei luoghi tradizionali della scapigliatura genovese, fra le cantine Giavotto e i locali di Galleria Mazzini. È quel che avvenne. Alla fine del 1967 il processo si poteva dire concluso” (21).
Il ’68 segnerà per tutti, o quasi, uno spartiacque.
Terminano, come si è visto, diverse iniziative, in specie quelle di carattere collettivo, fra cui la Società di cultura e il Gruppo Studio. Altre perdono slancio, come il Deposito o il Marcatrè, quest’ultimo scavalcato, in certo senso, da Quindici (22). I giovani scenderanno sul terreno della politica. Per la cultura, a Genova, inizia una lunga stasi in cui peraltro la grande mostra Immagine per la città (1972), curata da Gianfranco Bruno in collaborazione con Franco Sborgi, le stagioni di alcune gallerie private (23) così come le iniziative delle librerie editrici di Roberto Tassi e il Sileno dovevano aprire nuove prospettive.

NOTE

1) GENOVA libro bianco, a cura di Adriana Oggero e Matilde Rausa, SAGEP, Genova 1967. Per un’ampia e puntuale ricostruzione della vicenda culturale di Genova negli anni dal dopoguerra a fine secolo v. il fondamentale volume di Enrico Baiardo, L’identità nascosta. Genova nella cultura del secondo Novecento, ERGA, Genova 1999.
2) GENOVA libro bianco, op. cit., pag. 60.
3) GENOVA libro bianco, op. cit., pag. 61.
4) GENOVA libro bianco, op. cit. pagg. 66 ss.
5) Ana etcetera, n. 3 (maggio 1960).
6) Tool esce in sei quaderni fra il 1965 e il 1967. Per una sintetica descrizione della pubblicazione v. Federico Fastelli, Tool, nel sito verbapicta.it (http://www.verbapicta.it/dati/riviste/tool).
7) V. la biografia dell’artista sul sito artantide.com (http://www.artantide.com/artisti_BiografiaArtista?idArtista=26). Tool
8) V. il mio ricordo di Osti sul sito tract.it (http://www.tract.it/T31-osti.html).
9) Sulla vicenda della Galleria del Deposito v. Paolo Minetti, La Galleria del Deposito (1963-1968), Libreria Editrice Sileno, Genova 1989 e il catalogo della mostra La Galleria del Deposito. Un’esperienza di avanguardia nella Genova degli anni ’60, a cura di Sandra Solimano, Museo d’arte contemporanea di Villa Croce, Genova 2 aprile 15 giugno 2003.
10) V. il catalogo della mostra I 50 anni della Galleria del Deposito, Genova Boccadasse, 11-19 maggio 2013 (http://mostradeposito.altervista.org/deposito50.pdf).
11) V. Una testimonianza di Eugenio Battisti nel catalogo della mostra Il Museo Sperimentale di Torino. Arte italiana degli anni Sessanta nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna, a cura di Mirella Bandini e Rosanna Maggio Serra, Castello di Rivoli, dicembre 1985–febbraio 1986; Genova, Villa Croce, aprile-giugno 1986, Fabbri Editori, Milano 1985, pagg. 22-23.
12) A proposito de La Borsa di Arlecchino v. Paolo Minetti, Memoria della Borsa d'Arlecchino, seguita da lettere alla stessa, Genova, Libreria Sileno, 1986 e La Borsa di Arlecchino e Aldo Trionfo: dall'Archivio di Lunaria teatro, a cura di Daniela Ardini e Cesare Viazzi, Genova, De Ferrari 2008; La Borsa di Arlecchino, La Riviera Ligure, quaderni della Fondazione Mario Novaro, 2014.
13) V. Eugenio Buonaccorsi,
Una scena in movimento. Il teatro a Genova tra gli anni sessanta e settanta, nel catalogo della mostra Attraversare Genova. Percorsi e linguaggi internazionali del contemporaneo. Anni ’60-’70, a cura di Sandra Solimano, Genova, Museo d’arte contemporanea di Villa Croce, 10 novembre 2004 – 27 febbraio 2005 Skira, Milano 2004, pag. 146-147. Per una più ampia disamina delle vicende del Teatro Stabile di Genova sotto la guida di Luigi Squarzina e Ivo Chiesa e in particolare sul “teatro civile” di Vico Faggi e Squarzina, v. Mario Paternostro, Dalla "Stalingrado del teatro" agli anni Ottanta: il teatro a Genova nel dopoguerra, Genova, Esagraph 1982.
14) V. Giuseppe Bartolucci, La tensione formale di Carlo Quartucci, nel volume dello stesso, La scrittura scenica, Lerici, Roma 1968, pag. 29.
15) V. Eugenio Buonaccorsi, Una scena in movimento, op. cit., pag. 139.
16) V. Claudio Tempo, Troppa musica per nulla, in GENOVA libro bianco, op. cit., pag. 322.
17) V. la video intervista di Stefano Verdino a Umberto Silva (https://www.youtube.com/watch?v=lenO3HIZDVM), Archivio Audiovisivi Città Metropolitana di Genova 1990.
18) V. GENOVA libro bianco, op. cit., pag. 87.
19) Ibidem.
20) v. Enrico De Angelis, Una lunga storia d’autore. Gino Paoli, in Genova e la canzone d’autore, a cura del predetto, Ggallery e Banca Carige S.p.a. 2014, pag. 60. Sulla scena musicale genovese del periodo v. anche Paolo Prato, La musica a Genova (1960-1980) in Attraversare Genova, op. cit. pagg. 143-151.
21) V. Carlo Romano, Noblesse n’oblige pas, nel sito della Biblioteca dell’egoista (digilander.libero.it/ biblioego/nobind.htm).
22) Rivista promossa dal Gruppo 63, diretta da Alfredo Giuliani (sostituito nel marzo 1969 da Nanni Balestrini), pubblicata dal giugno 1967 all’agosto 1969.
23) Tra cui Il Vicolo di Alf e Piera Gaudenzi, Martini & Ronchetti, Unimedia di Caterina Gualco, Galleriaforma di Minetti & Rebora, Arte Verso di Armando Battelli e Samangallery, diretta da Ida Gianelli, oltre le già citate Polena e Bertesca e la storica Galleria Rotta.

(dal catalogo della mostra Gli anni del 68. Voci e documenti dall'Archivio dei Movimenti, Palazzo Ducale, Loggia degli Abatio, 2017

 

 

2017