materiali sulle arti a genova, 1960-2018





1975: LA VISIONE FLUTTUANTE ALL'UNIMEDIA
di Edoardo Sanguineti


LA VISIONE FLUTTUANTE
a cura di Edoardo Sanguineti
Unimedia
Genova 29 aprile 1975

Belloli Lora-Totino Nannucci Bentivoglio
Spatola (A) Niccolai Sandri
Balestrini Giuliani Porta Ballerini
Villa (E) Diacono Vicinelli Mussio Martini Caruso (L)
Pignotti Miccini Perfetti Sarenco
Parmiggiani Vaccari Isgrò
Balzarro Baruchello Vitone Miles Mesciulam
Oberto (M) Oberto (A) D'Ottavi Carrega Accame (V) Mignani Landi Ferrari

LA VISIONE FLUTTUANTE

Da molto tempo il concetto di "poesia visiva", agevole e relativamente elementare, ha esaurito la propria utilità, e ha dimostrato tutta la propria insufficienza. Finché l'assunzione di procedimenti scrittori e di citazioni verbali, o almeno alfabetiche, all'interno dell' area pittorica, sembrava collocarsi ,in un suo spazio specifico, e comunque, in senso lato, 'figurativo', con "poesia visiva lo si poteva intendere ogni forma di esperienza che, procedendo in direzione opposta, evidenziasse valenze subordinatamente ottiche, a partire da un nucleo e da un sostrato nettamente caratterizzati in senso schiettamente letterario. Ma da quando questi procedimenti contrari si sono, non soltanto incontrati e toccati, ma scavalcati e intrecciati nei modi più diversi, permutando i loro significati. e, al di là di una precaria ambiguità, hanno incominciato a speculare sistematicamente sopra una sorta di 'terza lettura' possibile, né poetica né visuale, ma sintetica e plurima, - da quando l'impasto accidentale si è fatto principio di metodo, e tal caso-limite è diventato un fenomeno di massa, la quantità ha deciso della qualità e all'arcaica etichetta è conservato, al massimo, un significato storico, e quasi pateticamente commemorativo.
Il primo rimedio, a livello teorico e concettuale, dinanzi al deperimento della categoria di “poesia visiva”, è stata una moltiplicazione classificatoria: si è cercato - e parlo di cose che sono appena di ieri - di distinguere molto più sottilmente, salvando al possibile lo spartiacque di base tra la parola e l'immagine, e cercando di graduare e dosare, in maniera molto più particolareggiata, questa terra di nessuno che si era fatta intanto intensamente popolosa e sempre più disagevolmente amministrabile. Credo che siamo ormai giunti a quella 'terza fase' cui accennavo, che non è di nebulosa indiscriminazione, ma prende atto realistica-mente del costituirsi di una vera 'terza dimensione' comunicativa: il "terzo escluso" tra letteratura e pittura, è ormai davanti ai nostri occhi, e la massificazione denunciata non si rispecchia soltanto nel numero dei produttori e dei prodotti, e nella multiforme ricchezza di esperimenti accumulati, ma anche, e forse soprattutto, nel perpetuo ricambio con l'esperienza quotidiana, nelle comunicazioni di massa. Per amore dei vecchi emblemi, potremmo dire che il mondo che ci circonda, non più leggibile come libro né come finestra prospettica, è interpretabile come "rebus", dove il segno pittorico e il tratto alfabetico sono indissolubilmente convogliati verso una medesima unità di senso - e non sono così barocco da pretendere che il supersegno che ne risulta, con effetto di epigramma, valga anche come allegoria morale.
Del resto, il "rebus" è qui una pura metafora illustrativa, anche se, dal punto di vista etimologico, più probabile di tanti carmi alessandrini o carolingi. E poi, come conviene a una suggestione dimessamente didascalica, ha qualche vantaggio particolare: sottolinea, da un lato, e proprio ancora nell'etimo, la "cosalità" comunque dominante nel prodotto, superando le discriminazioni tecniche, ormai relativamente accidentali. tra l'elaborazione tipografica e la manovra da collage, la gestualità grafico-viscerale e il giuoco impaginativo (così come, del resto, qui agisce l'intero ventaglio delle poetiche possibili, perché qui convergono poi tutte le strade, ormai, dalla pop alla body) - e, d'altro lato, punta sopra il momento della decodificazione del testo, che si presenta anche e inevitabilmente come crittografia, come enigma, e, per usare termini di più evidente contatto letterario, come 'concetto' (proprio in accezione barocca, allora, con eventuale addizione perversa di un più attuale e asettico "concettuale"). Una rassegna, per limitata e d'assaggio che possa essere, oggi, se ha ambizioni panoramiche, meglio che in senso archeologico e classificatorio, funziona, paradossalmente, se articola il tutto come un tutto, sincronico e indiscriminato, partendo dall'ipotesi che si tratti di misurare, in blocco, tra segno e parola che convertuntur, un livello generale di possibilità autonoma. Il prezzo che qui si paga è, naturalmente, più sensibile sul piano del discorso letterario: l'acquisto visivo sarà sempre direttamente proporzionale al deperimento sonoro. È quanto dire, guardando le cose dal punto di vista deformante della poesia, che si tratta di rompere energicamente il vecchio equilibrio. metricamente consolidato, tra l'occhio e la voce, nel momento della fruizione.
Ma è un'angolatura tendenziosa, l'abbiamo detto: e poi, c'è tutto un versante di esperienze (per certi riguardi, il più nostrano e familiare, che non rinuncia affatto alla lusinga della declamazione, a una gestualità orale le rimane aperto tutto il capitolo fonologico e musicale). Al di là di questa segnalazione doverosa, vorrei aggiungere soltanto questo: che la rottura qui evidenziata degli arcaici orizzonti specifici, come crisi dei 'generi', per un osservatore attentamente imparziale e impartecipe, è l'indizio di una crisi sociologica di base nei ruoli operativi, dinanzi allo sviluppo delle nuove forme comunicative, tecniche e industriali. La 'terza fase', in particolare, è leggibile, molto cinicamente come sintomo ed epifenomeno. Si tratterebbe, allora, di un "grado zero" in attesa di una riqualificazione professionale, presso operatori verbali e figurativi, disarticolati in vista di nuove articolazioni. Anche i discorsi intorno a un nuovo specifico, se non sono calati - è il caso di dirlo - "in rebus", suonano per forza di cose singolarmente ingenui.

Edoardo Sanguineti

Ringraziamo Martino Oberto per la preziosa collaborazione, le Edizioni Geiger, Il Mercato del Sale, gli artisti, i colle­zionisti e le gallerie che hanno contribuito alla realizzazione della rassegna.

 

 

Dal depliant/catalogo dell'esposizione, Galleria Unimedia, Genova, aprile 1975